Diritti

Cristina Tajani: «Il problema dei Neet non si risolve da solo»

La presidente di Anpal Servizi, società che opera nel campo delle politiche attive del lavoro, ha fatto il punto sulla situazione degli italiani under 34 che non studiano e non lavorano
Credit: Cristina Tajani via profilo instagram https://www.instagram.com/p/CiLhI_5McFP/
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17 novembre 2022 Aggiornato alle 17:00

Presentato lo scorso 8 novembre, Cgil e Actionaid hanno realizzato un report, basato sui dati raccolti nel 2020, in merito ai giovani Neet italiani, interrogandosi sulle cause e le possibili soluzioni sul tema. Not in education, employment or training: sono quei giovani tra i 19 e i 29 (in Italia 34) anni che non studiano, non lavorano e non si formano.

Il termine Neet è comparso per la prima volta in Gran Bretagna e per descrivere la situazione di estrema fragilità e immobilità sociale delle madri adolescenti; da qualche anno, complici vari crisi economiche del mondo del lavoro e l’ingresso del termine in ambito giornalistico, è diventata una categoria sociale, un indicatore importante sullo stato del benessere della nostra società.

Il lavoro di Cgil e Actionaid vuole tornare a una definizione precisa del termine per costruire un’analisi attenta del momento storico che stiamo attraversando.

I dati su questa estrema condizione di fragilità trovano un triste primato, quasi un unicum, nel nostro Paese, in cui la disoccupazione e la marginalità sociale sono ancora persistentemente questioni giovanili.

Già dagli anni Settanta si iniziavano a delineare quali fossero le cause principali della bassa partecipazione dei giovani al mercato del lavoro: abbandono scolastico e ritardi nella transizione tra i diversi livelli di istruzione e tra scuola e lavoro, mancanza di investimenti soprattutto nel Meridione.

Ad oggi, i principali fattori che ostacolano il mondo del lavoro non sono poi così cambiati, e l’incapacità della politica rispetto alla questione giovanile si è intersecata con le diseguaglianze strutturali del nostro paese, prima fra tutte il divario territoriale.

Nel Sud Italia vive la maggior parte dei Neet del nostro Paese, il 45%, il 17% è residente nel Centro, il 23% al Nord Ovest e il 15% al Nord Est.

I divari territoriali, però, riguardano sempre di più trasversalmente le aree interne, le zone di periferia dei grandi centri urbani (è emblematico il caso di Milano, che ai suoi margini vede ben 70.000 giovani Neet) e i bacini di crisi delle storiche filiere produttive italiane. La raccolta dei dati ha poi mostrato una fotografia speculare anche del divario di genere.

Cristina Tajani, docente presso il Politecnico di Milano, esperta di politiche urbane e del lavoro e presidente di Anpal servizi ha posto l’accento proprio sui numeri delle giovani donne in Italia, che «nonostante siano statisticamente più istruite, sono disoccupate o inattive molto più degli uomini, anche nelle regioni settentrionali».

È significativo, infatti, che la più alta percentuale di giovani Neet donne pari al 27% sul totale della popolazione siano inattive, che non cercano lavoro e non sono disponibili all’occupazione; i Neet maschi inattivi, invece, rientrano maggiormente tra le cosiddette “forze di lavoro potenziali” (la zona grigia dell’inattività).

Questi soggetti hanno dichiarato di aver intrapreso almeno una ricerca attiva di lavoro o di essere immediatamente disponibili all’occupazione.

Abbiamo chiesto a Cristina Tajani quali siano le motivazioni che spingono più spesso le donne ad allontanarsi al mercato del lavoro: «le cause principali di questo divario riguardano, come è prevedibile, il ruolo delle donne anche giovani nella società: la maggioranza delle Neet infatti sono madri e quindi uniche figure di riferimento del nucleo familiare per quanto riguarda le cure domestiche, la crescita dei figli e in generale il carico di lavoro domestico».

L’abbondanza di dati in questo senso, come sottolineato anche dagli altri relatori durante l’incontro, non può prescindere da una riflessione profonda sulle conseguenze di una società patriarcale e sull’urgenza di politiche di genere in grado di avvicinare le donne al mondo del lavoro, e ancor prima, alla realizzazione personale.

La presidente dell’Anpal ha contribuito alla redazione del report sulla condizione dei giovani Neet italiani, insistendo sulla necessità di rafforzare gli interventi pubblici sul lavoro nel territorio. «Con Anpal abbiamo cominciato a lavorare con l’associazione nazionale dei Comuni italiani, in cooperazione con il ministero del lavoro e delle politiche giovanili, per la formazione dei giovani».

Abbiamo chiesto a Cristina Tajani quanto il sistema scolastico abbia una responsabilità rispetto all’inattività dei giovani e giovanissimi italiani; la presidente ci ha spiegato che non è il sistema formativo il problema, ma la questione sociale che riguarda i giovani vulnerabili. Un esempio significativo è il primo cluster di Neet individuato dal report (15-19 anni), che abbandona l’istruzione o decide di non proseguire proprio a causa di condizioni sociali e culturali degradanti.

L’ultimo nucleo di analisi, come prevedibile, riguarda le disuguaglianze di cittadinanza, cioè il background migratorio di alcuni soggetti. Se rapportati ai giovani Neet con cittadinanza italiana, i giovani stranieri in questa condizione sono in numero inferiore (18%), ma il fenomeno è in costante crescita: in 13 anni si è registrato un aumento di 7 punti percentuali, mostrando l’inefficienza delle politiche di integrazione. Dato che tristemente si riflette anche sull’abbandono scolastico e vede più della metà della popolazione giovane straniera con solo una licenza media.

Nel corso della Tavola Rotonda, a cui hanno partecipato personalità istituzionali, docenti ed esponenti di realtà sindacali impegnate nelle politiche del lavoro, sono state delineate alcune possibili soluzioni a questo mercato del lavoro presente, che è diseguale, inadatto ed eccessivamente squilibrato. Christian Ferrari, segretario Confederale Cgil Nazionale, ha sottolineato un punto fondamentale sulla situazione dei Neet in Italia: non si tratta solo di lavoro, di occupazione, di istruzione e di profitto.

Il primato italiano sui giovani che non lavorano, non studiano e non si formano ha un impatto disastroso sulla democraticità del nostro Paese, che abbiamo visto succedere pochi mesi fa registrando il più alto dato di astensionismo alle elezioni politiche.

Cristina Tajani, nel corso del suo intervento, ha sottolineato, inoltre, «la necessità di lavorare con maggior prossimità rispetto ai cittadini per l’implementazione di processi che coinvolgano i soggetti vulnerabili. Il mio auspicio rispetto ai dati mostrati è che una maggiore efficacia degli interventi pubblici, sorretti da aiuti europei e dall’attività del terzo settore, riesca a migliorare la condizione dei giovani Neet nel mondo della formazione e del lavoro».

La politica dovrebbe orientarsi da una parte nel cogliere la complessità della categoria dei Neet, allontanandosi da giudizi disattenti e superficiali che vedono i giovani come una fetta di popolazione svogliata e non pronta al sacrificio, e dall’altra, dovrebbe riconoscere la strettissima connessione tra le condizioni sociali di un individuo e il suo ingresso nel mondo del lavoro. Un’ultima prospettiva interessante, presentata da Cristina Tajani, riguarda proprio la questione sociale: cioè la presenza di servizi in grado di avvicinare i giovani al mondo del lavoro con una presenza capillare sul territorio.

Non è possibile, né sensato, chiudere gli occhi davanti a un problema così grande e persistente, in cui l’abbandono scolastico, la diffusione del lavoro sommerso, la marginalità e la disuguaglianza stanno prendendosi un pezzo troppo consistente del futuro dei giovani italiani. Il tema ha anche a che fare con la felicità e la salute mentale della popolazione più giovane; molto efficace è la frase scelta da Cgil e Actionaid per descrivere questo senso di esclusione e marginalizzazione, una scritta su un muro nel quartiere Gratosoglio, periferia Sud di Milano: “Datemi un po’ di futuro, altrimenti soffoco”.

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