Economia

Che cos’è l’Ipca?

L’indice dei prezzi al consumo armonizzato per i Paesi dell’Ue misura l’impatto dell’inflazione sulla capacità d’acquisto dei consumatori
Credit: Sora Shimazaki/pexels
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18 novembre 2022 Aggiornato alle 19:00

Partiamo da un punto di vista più generale. Per indice dei prezzi al consumo (o Cpi - Consumer Price Index), intendiamo una misura statistica che si ottiene attraverso la media dei prezzi di un insieme di beni e servizi - che in economia è detto “paniere” e ha come riferimento le abitudini di acquisto di un consumatore medio - tenendo conto della loro incidenza.

L’indice dei prezzi al consumo maggiormente utilizzato è quello che misura l’andamento nel tempo dei prezzi, basandosi esclusivamente sulle transazioni relative a beni e servizi tra operatori economici e i consumatori finali privati, escludendo quindi sia gli acquisti a titolo gratuito che le transazioni che coinvolgono enti pubblici.

Il Cpi, a seconda delle esigenze per cui lo si utilizza e dell’ambito specifico di ricerca, può assumere molteplici forme. Per esempio, in Italia Istat utilizza 3 diverse tipologie di Cpi: il Nic, l’indice dei prezzi al consumo per l’intera collettività nazionale; il Foi, riferito invece alle famiglie di operai e impiegati; infine l’Ipca, indice dei prezzi al consumo armonizzato per i Paesi Membri dell’Unione Europea.

Cosa misura l’Ipca?

Con il Trattato di Maastricht del Febbraio 1992 viene ufficialmente introdotto questo nuovo indice di riferimento, volto a sviluppare una misura dell’inflazione uniforme a livello europeo.

L’Ipca, infatti, allarga il suo raggio di osservazione e si occupa di verificare la convergenza economica dei vari Paesi membri. Non a caso è calcolato in relazione a un paniere di beni e servizi costruito tenendo conto delle particolarità di ogni Stato Ue e delle regole comuni - che si basano quindi su accordi comunitari - per la ponderazione dei beni che compongono il paniere stesso. Tra queste, per esempio, c’è l’esclusione dall’insieme di beni di riferimento di lotterie, il lotto e servizi relativi alle assicurazioni sulla vita.

Ulteriore differenza rispetto agli altri indici è il fatto che mentre Nic e Foi (che sono indici nazionali) considerano sempre il prezzo pieno di vendita - per esempio il prezzo scritto sulle confezioni di un prodotto - l’Ipca si basa sul prezzo effettivamente pagato dal consumatore, dunque tenendo conto di saldi e promozioni applicati.

Con l’Accordo Quadro sulla Riforma degli Assetti Contrattuali firmato nel 2009 dal Governo e le Parti Sociali (diverse associazioni sindacali), l’Ipca viene utilizzato come indice previsionale di inflazione, depurato della dinamica dei prezzi dei beni energetici importati. Permette quindi la verifica di eventuali scostamenti tra inflazione prevista e quella effettiva, diventando quindi un indicatore di cruciale importanza per la fissazione dei salari e, dunque, per rendere i contratti collettivi di lavoro capaci di garantire la certezza dei trattamenti economici dei lavoratori e tutelare il potere d’acquisto delle retribuzioni con un costante raffronto alla situazione internazionale e all’andamento dell’inflazione.

I dati più recenti

Le stime preliminari di Istat avvertono una crescita su base annua del Nic pari all’11,9%, con un’inflazione che arriva all’8% e una crescita dei prezzi del carrello della spesa di poco inferiore al picco massimo raggiunto nel 1983.

Le retribuzioni, tuttavia, non riescono a tenere il passo: nonostante vi sia stato nel periodo gennaio-settembre del 2022, un aumento dell’1% della retribuzione oraria media - molto più consistente dell’incremento registrato nello stesso periodo dell’anno scorso - l’Ipca rileva un divario tra la dinamica dei prezzi e quella delle retribuzioni contrattuali pari a 6.6% nei primi 9 mesi del 2022. A ciò si aggiunge l’attesa di oltre 6 milioni di lavoratori del settore privato del rinnovo del contratto, il cui tempo medio passa dai 28,7 a 33,9 mesi del settembre scorso. In generale l’aumento dei rinnovi del 2022 è del 4,7% si presenta come fortemente inadeguato.

I sindacati lamentano l’inadeguatezza sia dei contratti collettivi già rinnovati, che non tengono conto della forte inflazione infiammata dalla guerra in Russia, ma anche dell’Ipca stesso, ritenuto inappropriato proprio perché, essendo depurato della componente energetica importata, non considera nel calcolo proprio il fatto che l’inflazione sia provocata proprio dal prezzo dei prodotti energetici per almeno due terzi, misurando di conseguenza un livello più basso dell’inflazione effettiva.

Dall’altro lato, però, i datori di lavoro rifiutano di agganciare eccessivamente le retribuzioni al valore reale e molto alto dell’inflazione, a maggior ragione se essa è frutto di uno scenario di guerra in continua evoluzione e di cui si fa fatica a capire i futuri cambiamenti.

La Banca d’Italia - che si occupa di mantenere la stabilità sui prezzi e dell’efficienza del sistema finanziario - chiede massima cautela in sede di contrattazione tra imprese e sindacati: una corrispondenza troppo forte tra aumento dei prezzi e aumento dei salari potrebbe farci ricadere nel circolo vizioso della così detta “scala mobile”, con un aumento dell’inflazione ancora più drastico e difficile da contenere.

Come muoversi per il futuro?

Le associazioni sindacali reputano l’Ipca poco aderente alla situazione inflativa realmente pagata dai lavoratori e chiedono a gran voce un nuovo Patto sociale per intervenire sulla contrattazione nazionale e affrontare al meglio il forte balzo dell’inflazione, dovuto principalmente ai prezzi in rialzo della componente energetica, che colpisce il carrello della spesa, composto da tutti quegli acquisti che per loro natura (come cibo, igiene personale e della casa) sono più difficili da comprimere per il consumatore, con un impatto decisamente pesante per le classi di reddito più basse.

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