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Fedra Francocci del Cnr: «Salviamo il Mediterraneo entro il 2030»

Intervistata a Ecomondo, la ricercatrice ci ha parlato della missione Ue Restore our Ocean and Waters, per ripristinare in 8 anni la salute del Mare Nostrum, attraverso un sistema digitale di conoscenza e monitoraggio ambientale
Credit: EPA/ERDEM SAHIN
Alessia Ferri
Alessia Ferri giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
10 novembre 2022 Aggiornato alle 17:15

Gli oceani coprono i tre quarti della superficie terrestre e contengono approssimativamente 200.000 specie identificate. Se a essi aggiungiamo gli altri mari, fiumi e laghi i numeri ovviamente si alzano e di conseguenza risulta evidente l’importanza delle acqua per l’ecosistema del Pianeta.

Acque però, continuamente sotto attacco e soggette ad azioni dannose da parte dell’uomo che ne minano pesantemente lo stato di salute e la sopravvivenza.

Dopo decenni di sostanziale noncuranza globale al tema, la situazione adesso rischia di avvicinarsi al punto di non ritorno e per questo l’Unione Europea sta cercando di correre ai ripari, agendo su più fronti.

Una delle iniziative più importanti è stata l’approvazione, la scorsa primavera, del Restore our Ocean and Waters, una missione che entro il 2030 punta a ripristinare la salute delle acque terrestri, attraverso un sistema digitale di conoscenza e monitoraggio ambientale volto a prevedere e valutare la salute del sistema acquatico nel suo insieme.

Gli interventi del progetto sono suddivisi in aree e una di queste corrisponde al bacino Mediterraneo.

Noi de La Svolta ne abbiamo parlato con Fedra Francocci, ricercatrice del Cnr (Consiglio Nazionale delle Ricerche) per lo studio degli impatti antropici e sostenibilità in ambiente marino, intervenuta a Ecomondo proprio per approfondire il tema.

Cosa prevede la missione Restore our Ocean and Waters sull’area mediterranea?

Il problema principale del nostro mare è l’inquinamento da plastiche, quindi il lavoro si concentra soprattutto su questo fronte, cercando di ridurne il più possibile la contaminazione.

Come se non bastasse, nonostante sia solo l’1% del mare mondiale complessivo, il Mediterraneo deve anche fare i conti con il fatto di essere uno dei più sfruttati a livello di estrazioni, impoverimento dei fondali e azioni simili. Questo ne mette a dura prova l’intero ecosistema, che rappresenta un valore inestimabile, visto che la sua percentuale di biodiveristà è molto alta rispetto ad altri mari.

Come si può agire nel concreto?

Il mediterraneo ha più di 46.000 chilometri di costa e 22 Paesi che vi si affacciano, europei e non, e tutto ciò rappresenta un quadro di partenza piuttosto complesso.

L’unica strada percorribile è quindi costruire un’alleanza politica che allinei le strategie dei diversi Stati e colleghi strutture, iniziative e attività. Per farlo serve il coinvolgimento di tutti: imprese locali, cittadini, associazioni, enti e istituzioni politiche.

Si parla spesso di mari ma tutto inizia dai fiumi

Esattamente. Anche i fiumi sono protagonisti dello scenario mediterraneo e per questo sono inclusi nella missione della UE.

A differenza del territorio del nord Europa che presenta fiumi con cicli abbastanza regolari, nel sud e in particolare in Italia, fatta eccezione per i grandi bacini come a esempio il Po, molti corsi d’acqua per la maggior parte della stagione sono asciutti e vengono utilizzate spesso illegalmente come discariche abusive. Quando però arriva il maltempo e i bacini si riempiono d’acqua trascinano a mare detriti e rifiuti, che molto spesso hanno una densità tale da depositarsi direttamente sui fondali.

Questo purtroppo genera situazioni problematiche, come avvenuto sullo stretto di Messina dove negli anni si sono accumulati tantissimi rifiuti.

Qual è l’impegno del CNR all’interno di questo progetto?

Nel complesso si estenderà su più fronti. Il mese scorso, a esempio, abbiamo messo all’opera una nave oceanografica che ci ha permesso di mappare tutto il golfo di Napoli, nell’ottica di valorizzare il mediterraneo sommerso. Meno del 5% della sua superficie è mappata quindi non sappiamo cosa c’è là sotto e quanti danni davvero siano stati fatti in termini di estrazioni ma non solo.

L’obiettivo della mission fissato per il 2030 è realistico o vista la situazione attuale il tempo non sarà sufficiente?

Penso che esistano tutti i presupposti per raggiungerlo ma solo quando saremo pronti a creare delle alleanze, per questo chiediamo la sottoscrizione di un manifesto condiviso tra gli attori che prendono parte all’iniziativa.

Dal punto di vista tecnologico e di gestione esistono già soluzioni ma manca la capacità di mettere a sistema tutto ciò di cui si ha bisogno. Serve la volontà di pensare ogni cosa in scala più ampia, partendo da quelle che sembrano banali ma non lo sono, come la gestione della spazzatura nei porti.

Lo scopo della missione è anche di parlare ai cittadini europei e alle comunità locali per aumentare la consapevolezza degli impatti di determinate azioni sull’ecosistema marino e fluviale. Fare in modo che associazioni ambientaliste, agenzie, politica e company se ne occupano è importantissimo per avvicinare tutti e soprattutto i giovani a questa tematica.

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