Futuro

Le emoji del passato? I fiori

Nata come mezzo di comunicazione clandestino, la floriografia vittoriana serviva per esprimere emozioni o messaggi in codice. Proprio come le moderne “faccine”
Daniele Levis Pelusi/unsp
Daniele Levis Pelusi/unsp
Caterina Tarquini
Caterina Tarquini giornalista
Tempo di lettura 3 min lettura
10 novembre 2022 Aggiornato alle 14:15

Le rose rosse fanno pensare alla passione, i crisantemi vengono associati alla commemorazione dei defunti, le margherite rappresentano l’innocenza e il candore.

I fiori sono da sempre utilizzati per dimostrare una gamma di emozioni e sentimenti differenti, primi fra tutti quelli positivi, come l’affetto, l’amore e la gratitudine. Bisogna però risalire indietro nel tempo per individuare il momento storico preciso in cui da semplice gesto di gentilezza divennero un modo di comunicare sentimenti e sensazioni a cui non si poteva dar voce pubblicamente. Stiamo parlando dell’epoca vittoriana nel Regno Unito.

In un periodo in cui era profondamente scoraggiato esprimere in maniera diretta ciò che si pensava, la floriografia, cioè il linguaggio dei fiori, emerse come un «mezzo di comunicazione clandestino», ha spiegato alla Bbc Culture Jessica Roux, autrice del libro Floriography: An Illustrated Guide to the Victorian Language of Flowers. Proprio lei l’ha definita paragonabile all’uso che oggi facciamo delle emoji, i simboli colorati che utilizziamo nelle app di messaggistica e i social network per trasmettere i significati più disparati.

Le fanciulle, all’epoca, ricamavano abiti e adornavano i capelli con i fiori per comunicare qualcosa, e quelli che davano in dono celavano spesso e volentieri dei veri e propri messaggi in codice. Un mazzo di rose veniva interpretato come un gesto di amore, un po’ come un cuoricino rosso su Whatsapp o Telegram. Se invece ne veniva offerto uno di rose gialle si indicava un interesse puramente amicale.

I vari significati traevano origine dal patrimonio letterario, mitologico e religioso. Nella Bibbia, per esempio, il profeta Geremia nomina il mandorlo, che per la sua fioritura precoce, è il simbolo di rinascita e di vita nuova, mentre nel Cantico dei Cantici, il giglio e l’issopo rappresentano la purezza.

Tanti gli esempi anche nei testi antichi, a cominciare da Lucrezio nel De rerum natura e Ovidio ne Le Metamorfosi. Per non parlare poi delle leggende mitologiche, come quella di Clizia, fanciulla respinta da Apollo, dio del Sole e trasformata in girasole, per seguire la divinità che sul suo carro solca ogni giorno il cielo.

Potevano variare anche in base alle culture: per esempio i fiori rosa indicavano fiducia in Thailandia e invece un augurio di buona salute in Giappone. Altre volte il significato attribuito dipendeva dalla forma della pianta, per esempio i fiori della noce, che ricorda un cervello, indicavano saggezza.

Secondo la tradizione la prima a segnalare un codice di linguaggio dei fiori sarebbe stata Lady Mary Wortley Montagu, poeta e moglie dell’ambasciatore inglese in Turchia: la donna descrisse in una serie di lettere del 1717 e del 1718 l’utilizzo dei fiori da parte di alcune donne negli harem turchi come un vero e proprio codice segreto per comunicare fra loro senza farsi capire dalle guardie. Circa un secolo dopo l’aristocratica francese Charlotte de La Tour pubblicava Il linguaggio dei fiori, il primo libro al mondo a descrivere il simbolismo dei fiori.

In Inghilterra, in Francia, ma anche Oltreoceano, cominciarono a diffondersi decine di almanacchi e “dizionari floreali” che raccoglievano disegni e illustrazioni di fiori con poesie o informazioni legate al loro significato.

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