Diritti

Cop27: le Barbados vogliono giustizia (climatica)

Secondo la prima ministra dell’isola caraibica, Mia Mottley, se le nazioni industrializzate non contrasteranno il climate change, entro il 2050 i rifugiati climatici saranno 1 miliardo
La prima ministra delle Barbados, Mia Amor Mottley
La prima ministra delle Barbados, Mia Amor Mottley Credit: EPA/JASON SZENES
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
8 novembre 2022 Aggiornato alle 18:00

Se i governi non affronteranno la crisi climatica, ci saranno almeno un miliardo di rifugiati climatici in tutto il mondo entro la metà del secolo. Lo ha detto dal palco della Cop27 la prima ministra delle Barbados Mia Amor Mottley, durante la cerimonia di apertura del vertice sul clima in corso a Sharm El-Sheikh, in Egitto.

Mottley ha parlato degli «orrori» e delle «devastazioni» che si sono verificate negli ultimi 12 mesi, ricordando «le alluvioni apocalittiche in Pakistan, le ondate di calore dall’Europa alla Cina» e gli effetti disastrosi della tempesta tropicale Lisa in Belize, al confine con Messico e Guatemala. «Abbiamo il potere di scelta. Dobbiamo scegliere di agire», ha spiegato la premier dell’ex colonia inglese, indipendente dal Regno Unito dal 1996 e membro del Commonwealth.

Nel suo discorso di 13 minuti Mottley si è scagliata contro le nazioni industrializzate, colpevoli di aver deluso i Paesi in via di sviluppo sulla crisi climatica, e ha proposto un coinvolgimento delle compagnie petrolifere nella prossima Cop, che si terrà a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, nel 2023. L’obiettivo, ha spiegato, è quello di costringerle a pagare almeno dieci centesimi per ogni dollaro dei loro profitti: «Crediamo che gli attori non-statali […], le compagnie dell’oil & gas e coloro che le agevolano, devono essere coinvolti attraverso una convocazione speciale da adesso alla Cop28».

Mottley, rivolgendosi alla platea di capi di Stato e di governo che stanno partecipando al summit, tra cui la nuova presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni e il neo primo ministro britannico Rishi Sunak, ha domandato: «Come possono società che fanno 200 miliardi di utili negli ultimi tre mesi non aspettarsi di dover contribuire almeno con dieci centesimi per ogni dollaro di profitto nel Fondo per le perdite e i danni legati al clima? Questo è quello che la nostra gente si aspetta».

Come riporta il quotidiano britannico Guardian, Mottley ha sottolineato che la prosperità - e le elevate emissioni di anidride carbonica - del mondo ricco sono state raggiunte a spese dei poveri in tempi passati, e ora i poveri sono costretti a pagare di nuovo, come vittime di un collasso climatico che non hanno causato. «Siamo stati noi a finanziare con sangue, sudore e lacrime la rivoluzione industriale. Ora dobbiamo affrontare un doppio rischio, dovendo pagare il costo dei gas serra prodotti? Questo è fondamentalmente ingiusto».

Il tema della giustizia climatica è da sempre al centro dei colloqui sul clima: i Paesi in via di sviluppo stanno subendo i danni maggiori, sotto forma di condizioni meteorologiche estreme, poiché i Paesi più ricchi non sono riusciti a mantenere le loro promesse sulla riduzione delle emissioni e sulla fornitura di finanziamenti volti ad aiutare quelli in via di sviluppo. È necessario, ha detto Mottley, «avere un approccio diverso, che consenta di finanziare la ricostruzione in quei Paesi che sono stati colpiti da catastrofi. Se ciò non avverrà, assisteremo a un aumento dei rifugiati climatici. Sappiamo che entro il 2050, i 21 milioni di rifugiati climatici di oggi diventeranno un miliardo». Il termine, spiega Unhcr, l’Agenzia Onu per i rifugiati, è improprio perché non si fonda su nessuna norma presente nel diritto internazionale, ma secondo l’Alto Commissario per i Rifugiati Filippo Grandi, «l’immagine che [quell’espressione] trasmette – di persone fuggite dalle loro case a causa dell’emergenza climatica – ha giustamente catturato l’attenzione dell’opinione pubblica».

Durante la Cop26 che si è tenuta a Glasgow nel 2021, Mottley aveva già avvertito del grave pericolo che stavano correndo i Paesi in via di sviluppo a causa della condotta delle nazioni più industrializzate. Si era rivolta ai leader delle più grandi economie del mondo, esortandoli a «sforzarsi di più» per evitare la «condanna a morte» data dall’innalzamento della temperatura di 2°C. I piccoli Stati insulari come le Barbados, immerse nelle acque al confine tra il mare dei Caraibi e l’oceano Atlantico, sopra l’America Latina, rischiano di non sopravvivere ai cambiamenti climatici: il loro futuro dipende dallo sblocco dei finanziamenti necessari per limitare l’aumento della temperatura globale a 1,5°C, come previsto dall’accordo di Parigi.

Mottley, eletta nel 2018 con oltre il 70% dei voti popolari, è la prima donna a guidare il governo delle Barbados.

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