Diritti

Medici no-vax: il braccio di ferro delle Regioni

Puglia e Campania ricorrono ai poteri territoriali per ostacolare il rientro in corsia del personale sanitario non vaccinato e tutelare i pazienti. Schillaci: «Saranno le singole direzioni sanitarie a decidere»
Credit: Annie Spratt/ Unsplash
Fabrizio Papitto
Fabrizio Papitto giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
4 novembre 2022 Aggiornato alle 14:00

È scontro aperto tra le Regioni e l’esecutivo a guida Meloni in merito al discusso provvedimento che ha anticipato al 31 ottobre, invece del 31 dicembre fissato in precedenza, la scadenza dell’obbligo vaccinale per il personale sanitario, consentendo così il rientro in corsia di medici e infermieri sospesi per non essersi sottoposti al trattamento anti-Covid.

Come ha dichiarato all’Adnkronos Filippo Anelli, presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (Fnomceo), oggi i medici non vaccinati in Italia sono circa 3.500. Di questi il 47% avrebbero più di 68 anni, «e sono per questo fuori dal Servizio sanitario nazionale».

Considerando la quota di liberi professionisti, sui quali tuttavia non si hanno dati certi, «questo vuol dire che circa 1.000 torneranno negli ospedali», conclude Anelli, per il quale i medici reintegrati sarebbero «pochissimi a fronte di una carenza che sfiora i 20.000 medici».

Nelle intenzioni del governo, secondo le parole del ministro della Salute Orazio Schillaci, la misura «serve innanzitutto per contrastare proprio la carenza che si registra sul territorio», e a evitare di pagare i cosiddetti “medici a gettone”, ovvero personale esterno reclutato a tempo a un costo più elevato.

Diverse Regioni tuttavia si sono opposte per ragioni legate in primo luogo alla sicurezza dei pazienti ospedalieri. A cominciare dalla Puglia, dove i medici e gli operatori sanitari che non sono vaccinati non possono accedere ai reparti ospedalieri per effetto delle normative regionali.

Secondo la legge regionale 19 giugno 2018, n.27, «al fine di prevenire e controllare la trasmissione delle infezioni […] ai pazienti, ai loro familiari, agli altri operatori e alla collettività», la Regione «individua i reparti dove consentire l’accesso ai soli operatori che si siano attenuti alle indicazioni del Piano nazionale di prevenzione vaccinale vigente per i soggetti a rischio».

La Corte Costituzionale ne ha dichiarato la legittimità con sentenza n. 137 del 6 giugno 2019 affermando che la normativa regionale è indirizzata «specificamente agli operatori sanitari che svolgono la loro attività professionale nell’ambito delle strutture facenti capo al Servizio sanitario nazionale, allo scopo di prevenire e proteggere la salute di chi frequenta i luoghi di cura: anzitutto quella dei pazienti, che spesso si trovano in condizione di fragilità e sono esposti a gravi pericoli di contagio, quella dei loro familiari, degli altri operatori e, solo di riflesso, della collettività».

La legge quindi «c’è e rimane in vigore», ha dichiarato l’assessore alla Sanità della Regione, Rocco Palese. E alla replica del sottosegretario alla Salute Marcello Gemmato, che ha minacciato di impugnare la norma, ha risposto pronto il presidente della Regione Michele Emiliano: «Tra leggi nazionali e leggi regionali nelle materie concorrenti come la Sanità non c’è un rapporto di gerarchia che fa prevalere le prime sulle seconde, salvo che ci sia una lesione delle attribuzioni del Parlamento. Ma queste ultime devono essere impugnate tempestivamente dal Governo, fatto questo non avvenuto nel nostro caso, essendo la legge in questione del 2021».

«Prendo atto che Gemmato, farmacista, si cimenta in arditi ragionamenti giuridici annunciando l’impugnazione della legge pugliese, e così facendo fa fare al Governo del quale fa parte da qualche ora una pessima figura – ha aggiunto Emiliano –. Uno così dovrebbe immediatamente dimettersi per la sua inadeguatezza».

Dura anche la reazione della Campania, che ha inviato ai direttori generali delle Aziende sanitarie locali e delle Aziende ospedaliere una direttiva con la quale «si fa obbligo di definire l’impiego del personale sanitario non vaccinato – spiega la nota – tutelando la salute dei pazienti e degli operatori vaccinati». Il governatore della Regione Vincenzo De Luca, dal canto suo, ha definito il reintegro «un atto di totale irresponsabilità».

Sulla questione torna lo stesso Schillaci, che in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera ribadisce: «C’è una grave carenza di organico e saranno comunque le singole direzioni sanitarie a decidere dove potranno andare a lavorare i medici reintegrati». E sul pensiero anti-scientifico del personale no-vax precisa: «Credo che sia un problema deontologico che dovrebbero e dovranno affrontare gli Ordini dei medici».

Ma le critiche in materia sanitaria arrivano anche dalla decisione del governo di sospendere la pubblicazione quotidiana del bollettino pandemico a favore della cadenza settimanale. «Un anacronistico passo indietro sulla trasparenza», ha dichiarato Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, che in una nota si è dichiarata «impossibilitata a garantire il monitoraggio indipendente condotto negli ultimi due anni e mezzo a beneficio della cittadinanza, delle Istituzioni e degli organi di informazione».

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