Culture

Musei gratis: sì, no, perché?

Il neo-sottosegretario Sgarbi apre, il ministro Sangiuliano frena: «sono assolutamente contrario». Ma qual è la situazione negli altri Paesi europei? E cosa dicono gli studi e i professionisti del settore?
Credit: Marialaura Gionfriddo/ Unsplash

«Musei gratis, aperti anche di notte». «Mai più musei gratis!». Non sono due posizioni opposte di un dibattito tra avversari politici, ma l’approccio – che definire “ambivalente” è eufemistico – del nuovo ministero della Cultura. Se per il neo-ministro Gennaro Sangiuliano la gratuità dei musei «deprezza le opere d’arte», in una delle prime dichiarazioni da sottosegretario Vittorio Sgarbi ha spiegato che – oltre a voler assoldare Morgan come capo dipartimento musicale – si batterà per modificare orari e prezzi dei musei, aperti «almeno fino alle 21. La gente che lavora non può andarci di giorno, quindi dovrà andarci, gratis, nelle ore in cui sono liberi di andare».

Quello sulla gratuità dei musei non è un dibattito nuovo, nato in seno alla nuova legislatura: mai come prima d’ora, però, la spaccatura è stata evidente, poiché si consuma all’interno non solo dello stesso governo ma addirittura dello stesso ministero. Non è una novità, purtroppo, nemmeno il fatto che quello della cultura sia un settore che ha bisogno di interventi urgenti e strutturali, soprattutto dopo due anni di pandemia e restrizioni che hanno eroso ulteriormente le già risicate risorse del comparto culturale italiano.

Come sta la cultura in Italia?

Il report “Io sono cultura 2022” realizzato da Fondazione Symbola e Unioncamere restituisce l’immagine di un sistema che complessivamente dà lavoro a 1,5 milioni di persone e produce ricchezza per 88,6 miliardi di euro. I ricavi del 2021, però, non hanno permesso di recuperare il terreno perso e tornare ai livelli pre-pandemici. Tra i settori più colpiti ci sono il settore dello spettacolo (-21,9%, corrispondente a -1,2 miliardi di euro) e del patrimonio storico e artistico (-11,8%; pari a -361 milioni di euro).

Un caso eccezionale è quello del cinema, che corre a due velocità: mentre il lato di produzione va a gonfie vele, il riscontro nelle sale non è altrettanto soddisfacente. Per questo, per riportare le persone al cinema il ministero di Sangiuliano sta pensando a un bonus nella forma di sconti di 3-4 euro (per un totale di 10 milioni di euro) per chi acquista i biglietti attraverso lo SPID.

Nel caso dei musei, invece, come abbiamo visto la linea è molto meno netta: gratis sempre? Mai? A volte? E, soprattutto, l’unico modo per valorizzare l’incredibile patrimonio culturale italiano è renderlo a pagamento? O è necessario permettere di fruirne gratuitamente anche a chi magari non potrebbe farlo visto i costi sempre più proibitivi dei biglietti – in particolare in un periodo di forte crisi economica e di costo della vita altissimo?

Musei gratis: come funziona in Europa?

British Museum, National Gallery, Tate Modern: chi ha visitato Londra potrebbe essere rimasto stupito dal fatto che nella maggioranza dei musei britannici, anche i più noti e ricchi di tesori artistici, non è necessario pagare un biglietto d’ingresso. Le collezioni permanenti, infatti, sono quasi sempre gratuite, mentre per le esposizioni temporanee può essere richiesto il pagamento di un biglietto.

La capitale del Regno Unito non è l’unico paese europeo in cui i musei sono gratis, anche se in molti casi ci sono dei giorni dedicati o delle fasce orarie in cui l’accesso è libero: il primo è il caso di Parigi, che oltre ad avere alcuni musei sempre a gratis, come il Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris, consente di accedere gratuitamente a tutti i musei pubblici (tra cui il Louvre, il Musée d’Orsay e il Centre Pompidou) tutte le prime domeniche del mese. I cittadini dell’Unione Europea che hanno meno di 26 anni, inoltre, possono accedere gratuitamente a tutti i musei senza limiti di orario o di data.

Madrid ha invece optato per delle fasce orarie a libero accesso: i musei madrileni come il Prado o il Reina Sofia hanno delle fasce orarie (solitamente le ore che precedono la chiusura o particolari fasce nel week-end) in cui è possibile visitare le collezioni permanenti senza pagare il biglietto.

Attualmente, anche in Italia è attiva l’iniziativa dell’ex Mibact (ora MiC) “Domenica al museo”, grazie a cui l’ingresso a tutti i musei e le aree archeologiche statali è gratuito ogni prima domenica del mese (la prossima sarà proprio il 6 novembre), mentre l’accesso è sempre gratuito per gli Under 18 e sono previste speciali tariffe per la fascia 18-25. Le cose, però, potrebbero cambiare. La direzione ce la dirà il tempo, e scopriremo quale visione prevarrà.

Con la cultura, parafrasando le parole Sangiuliano in un’intervista a Bruno Vespa rispondendo al Sgarbi, “si mangia” ed è per questo che «sono assolutamente contrario ai musei gratis. Diverso è fare una politica sociale per i giovani e gli anziani, ma tenere i musei gratis, a parte che non regge sul piano economico, poi deprezza il valore delle opere». Ma è davvero così?

Accesso gratuito ai musei: cosa dicono gli studi?

Diversi studi hanno provato a rispondere alla domanda «musei gratis: sì o no?», concentrandosi in particolare sul ritorno di iniziative mirate gratuite (come la “Domenica al museo”) sugli ingressi a pagamento e sull’impatto che la gratuità ha sull’affluenza.

Diciamo subito che non c’è una risposta univoca, segno che anche in ambito accademico il dibattito sul tema è tutt’altro che risolto. Uno studio dell’Università di Catania dedicato al caso italiano aveva registrato nel periodo 1996-2015 «un’influenza positiva del numero di visite gratuite a musei e monumenti sulle successive visite a pagamento». Analizzando anche l’effetto del prolungamento della gratuità nel luglio 2014, lo studio dimostrava che la nuova norma «ha comportato un aumento delle visite sia gratuite che a pagamento». Secondo altre analisi, però, l’effetto non sarebbe così netto e, soprattutto, non spingerebbe un numero maggiore di persone ad andare al museo ma inviterebbe solo coloro che già ci vanno a ritornare. Il rischio, anzi, sarebbe proprio quello di modificare negativamente la percezione del museo stesso.

Un’altra ricerca, focalizzata sui musei francesi, ha confermato che «la componente non monetaria del prezzo, nonostante l’ingresso gratuito, è particolarmente elevata: lo sforzo intellettuale, il tempo necessario, l’organizzazione della visita» e che quindi il costo del biglietto non è un elemento primario nella decisione se visitare o meno un museo. Non solo: sebbene effettivamente la percezione del museo sia diversa se non è previsto un pagamento per l’ammissione, questo non è necessariamente un aspetto negativo ma, anzi, può innescare un circolo virtuoso e un processo di apprendimento diverso: «l’ingresso gratuito porta a un’esperienza in cui il comportamento è più rilassato, anche più profano, ma al di là di questa decostruzione dei punti di riferimento abituali, la visita gratuita può infatti essere una visita diversa da quella prevista. Lungi dal corrispondere alle percezioni negative generalmente associate a questa politica dei prezzi, la visita gratuita è un’esperienza nuova, nel senso che fa sentire liberi, stimola la relazione sociale, modifica la proprietà del luogo e i propri sentimenti. Cambiano le percezioni di musei e monumenti, gli obiettivi nel visitarli e le modalità di scoprirli. Improvvisamente vengono percepiti come più accessibili».

La domanda rimane. È vero che mantenere il sistema culturale ha un prezzo (alto) e che spesso a pagare i mancati investimenti sono proprio gli operatori della cultura. È vero anche che la barriera economica non è l’unica da rompere e che “gratis” non è sinonimo di “accogliente” per molte categorie, ma se dobbiamo pensare a una riforma strutturale che valorizzi il patrimonio artistico e culturale non dovrebbe essere in un’ottica di allargare le possibilità? Ricordando che, oltre che un – enorme – business è un diritto umano, come sancito anche dall’articolo 27 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, che recita «ogni individuo ha diritto di prendere parte liberamente alla vita culturale della comunità, di godere delle arti e di partecipare al progresso scientifico e ai suoi benefici»?

Musei gratis? «Servizio pubblico». Ma manca il personale

«Noi abbiamo sempre sostenuto la gratuità nei musei in ottica di offrire un servizio pubblico alla cittadinanza, che non va a discriminare per censo. La tendenza degli ultimi anni è stata quella di aumentare sempre di più i biglietti che sono diventati un ostacolo economico per molti e molte famiglie». Ester Lunardon è archeologa e attivista del collettivo “Mi Riconosci? Sono un professionista dei beni culturali”, l’associazione nata dal basso che accoglie studenti, precari e professionisti del settore culturale.

«Le nuove dichiarazioni vanno in una direzione diversa, verso un’attribuzione di un valore che è prettamente monetario al museo. Quando si dice “deprezzamento” quello che intendiamo è questo: tutto è calcolato in termini economici, senza valutare i vantaggi a livello economico e sociale che i musei hanno per la cittadinanza. Se parliamo di musei il pareggio di bilancio è un miraggio: lo Stato ci deve mettere dei finanziamenti, non si tratta di un’azienda che può reggersi da sola o addirittura produrre un utile».

Del resto, i musei italiani sono ben lontani anche dal pareggio di bilancio e versano in una crisi che si riflette anche nella mancanza di personale. Un fattore che secondo il direttore Eike Schmidt è stata la causa della chiusura del museo fiorentino degli Uffizi nella giornata del 1 novembre. Una chiusura contro cui il ministro Sangiuliano si è espresso duramente e che, secondo un tweet pubblicato proprio stamattina, non sarebbe «ascrivibile a carenza personale». Eppure, ricorda Lunardon «Schmidt segnala da mesi di essere a corto di personale, quindi non è una novità. Questa poi non è una questione che riguarda solo gli Uffizi, che anzi sono uno dei musei che riceve più finanziamenti. Figuriamoci come stanno i musei più piccoli, gli archivi, le biblioteche… è proprio un problema strutturale».

Per il Ministro quello della carenza di personale è «problema reale, ma più generale su cui sono pronto a lavorare». Per chi lavora nel campo della cultura, è necessario che lo Stato si assuma le responsabilità di un settore che da questo punto di vista è in crisi da decenni, smettendo di negare l’evidenza: «la carenza di personale non è solo negli istituti culturali aperti al pubblico, si parla davvero di migliaia di risorse che mancano. Ogni anno il personale va in pensione ma non c’è un ricambio, quindi c’è anche un problema di perdita di conoscenze e di competenze che non vengono trasmesse ai nuovi dipendenti. Questa è la vera emergenza nel settore culturale».

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