Futuro

Per una nuova dieta mediatica

I dati della PwC sui media italiani offrono la fotografia di un Paese in movimento. La televisione resiste in Italia più che altrove. Ma internet ha cambiato le carte in tavola
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3 novembre 2022 Aggiornato alle 06:30

Francia, Italia, Brasile, Usa. Con crescente regolarità, le elezioni descrivono Paesi democratici fortemente divisi. Il sistema dei media non sembra più in grado di svolgere la sua tradizionale funzione di tessuto connettivo del corpo sociale. E anzi in qualche misura alimenta le divisioni.

Le ultime notizie sull’evoluzione dei media in Italia raccontano di una nuova fase di cambiamento alle porte. Che si radica in un percorso di grosse novità e sorprendenti continuità, caratteristiche dell’ultimo decennio.

I dati della PwC, pubblicati nel suo recente Entertainment & Media Outlook in Italy 2022-2026, offrono una visione molto chiara.

Il fenomeno più evidente di resistenza al cambiamento è la televisione: la quota del mercato televisivo, rispetto al totale del settore dei media, in Italia continua a essere proporzionalmente alla media europea. Peraltro conosce una lenta erosione.

La novità strutturale più importante, invece, è la crescita del mercato internet.

Il fatto che gli italiani passino più tempo online e dedichino più attenzione alla rete è sintetizzato nell’andamento degli investimenti pubblicitari.

Internet ha superato la televisione nel 2019. E ha accelerato durante i lock-down in maniera così travolgente da distanziare la televisione di circa un miliardo di euro tra 2020 e 2021, nonostante che restando a casa, gli italiani abbiano guardato la tv un po’ di più del solito come attesta anche il lieve incremento della pubblicità televisiva nello stesso periodo.

Ebbene. La nuova novità, secondo le previsioni della PwC, consiste in una sorta di stabilizzazione anche di internet nel prossimo futuro, con la fine della fase di conquista, e il passaggio a una condizione di normalità attestata dal rallentamento previsto della crescita della pubblicità in rete, che si confronta peraltro con una lenta diminuzione di quella televisiva.

L’interpretazione della tenuta della televisione più diffusa fa riferimento all’importante segmento demografico delle persone più anziane che continuano a usare il vecchio elettrodomestico che trasmette immagini e suoni in broadcast. Le altre generazioni, si direbbe, si sono convinte ad aumentare invece la loro attività mediatica su internet, ovviamente soprattutto a partire dall’introduzione della versione mobile della rete resa possibile dall’avvento degli smartphone. E anche per quanto riguarda le spese in accesso a internet, in effetti, il contributo italiano è superiore alla sua quota complessiva del mercato dei media, anche se il calo dei prezzi impone un contenimento anche di questo fenomeno.

Ipotizzare il futuro resta un obiettivo ambizioso, ma in base a queste indicazioni non è impossibile osservare che il modello dell’avanzata impetuosa di internet finanziata con la pubblicità potrebbe essere in fase di esaurimento. È stata la scorciatoia che ha consentito a Google e Facebook di costruire il loro gigantesco successo. Ma entrambe quelle aziende conoscono un forte rallentamento della loro crescita.

Facebook in particolare sembra sottoposta a pressioni enormi. Il mercato finanziario l’ha abbandonata a un declino della capitalizzazione senza molti precedenti, avendo tagliato il valore dell’azienda fondata da Mark Zuckerberg di tre quarti del valore che aveva raggiunto nel 2021.

Gli scandali, la scarsa attenzione ai diritti degli utenti, la consapevolezza crescente delle sofferenze di molte persone che hanno usato senza freni i social media dell’azienda solo per trovarsi in un ambiente densamente inquinato da falsità, odio, banalità, con forme di depressione e dipendenza attestate da diversi studi, hanno lasciato conseguenze anche quando Facebook ha cambiato nome in Meta: il metaverso deve ancora dimostrare di essere un progetto realistico, per Zuckerberg, ma ha certamente avuto una funzione di comunicazione. Insufficiente, per gli analisti finanziari.

In realtà, il passaggio a una fase in cui si paghi per servizi di maggiore qualità potrebbe essere realistico, anche se non del tutto ovvio capire come questo possa avvenire.

Ma un sistema di media nel quale il pubblico decide che cosa vale la pena di fare online, invece di essere trascinato da sistemi di comunicazione attraenti quanto vagamente manipolatori, potrebbe riconfigurare anche il dibattito.

Forse le persone pagheranno qualcosa per stare in ambienti più eleganti, meno violenti e degradati.

Questo non salverà le democrazie dalla divisione delle loro società, che dipende certamente da fenomeni molto più ampi e profondi. Però potrebbe almeno ridurre il contributo alla radicalizzazione delle differenze che i vecchi social network avevano offerto a società ancora affascinate dalla semplice novità che la rete offriva.

La consapevolezza nasce dall’esperienza. E di esperienza di problemi mediatici, ormai, la società ne ha fatta. È l’occasione per lanciare piattaforme nuove.

Ma è anche un incoraggiamento per il pubblico che voglia ridurre la sua dipendenza dalla rete e aumentare altre forme di accesso alla conoscenza. Una più saggia dieta mediatica non può che fare bene.

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