Ambiente

India, quando inquinamento delle falde acquifere e smog vanno a braccetto

Un intreccio micidiale e in parte inaspettato sta colpendo l’equilibrio ambientale indiano
Credit: Arihant Daga / Unsplash
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 3 min lettura
11 gennaio 2022 Aggiornato alle 19:00

L’aria di Nuova Delhi è grigia, densa, pesante: ma la maggior parte dello smog arriva dalla combustione dei residui dei raccolti. In inverno questa pratica coincide con temperature più fresche, che bloccano ancora di più i fumi nell’aria. E nella megalopoli, poco distante dai campi, l’inquinamento raggiunge livelli record.

A dicembre 2021 la città ha registrato picchi di inquinamento mai avuti prima nella stagione invernale. Gufran Beig, il direttore del System of Air Quality and Weather Forecasting And Research, ha spiegato al quotidiano locale The Times of India come questi livelli siano sintomo che la situazione complessiva nel nord del Paese sta peggiorando drasticamente. “Parte del problema è attribuibile alle azioni umane, e molte”, ha spiegato Beig, “non sono neanche note alle autorità”. Le particolari condizioni meteo - vento e umidità elevati - svolgono un ruolo fondamentale, ad aggravare ulteriormente la situazione.

Come riporta la britannica BBC, nel mese di novembre l’inquinamento dato dalla combustione dei residui delle colture rimaste dopo taglio e mietitura dei campi ha rappresentato il 42% dei livelli di PM 2,5 della città: si tratta di quelle polveri sottili - le minuscole particelle di particolato presenti nell’aria che misurano 2,5 micron - che possono entrare nei nostri polmoni. Nonostante il divieto di queste attività da parte del Governo, con la proposta di usi alternativi per la paglia e gli altri residui delle colture, gli agricoltori continuano a bruciare, bruciare e bruciare. Perché?

Si tratta di una pratica consolidata da molti anni. I campi indiani ricevono in media, all’anno, tra i 500 e i 700 millimetri di pioggia. Eppure le risaie necessitano un minimo di 1220 millimetri annuali. Per colmare questo divario, i contadini sfruttano le falde acquifere. Le risaie degli stati settentrionali del Punjab e dell’Haryana assorbono in totale 48 miliardi di metri cubi d’acqua all’anno da sottoterra: è quasi il fabbisogno idrico municipale complessivo della nazione, che possiede solo il 4% dell’acqua mondiale. A questo ritmo, le acque delle falde stanno diminuendo rapidamente e secondo le previsioni il Punjab le esaurirà nel giro di circa 20 anni. Oggi i contadini devono scavare almeno 30 metri prima di trovare una risorsa idrica: prima ne bastavano 2. Ma come sono collegati la pratica della combustione e la carenza di acqua per le colture?

Come spiega Mridula Ramesh, una delle principali esperte di clima e acqua e fondatrice del Sundaram Climate Institute, dobbiamo guardare alla fine del XIX secolo, dai tempi della dominazione britannica. La costruzione di canali e dighe per estrarre e deviare le acque, l’abbattimento delle foreste per fare spazio a ferrovie e treni che trasportavano i prodotti dei campi e le tasse sul raccolto fecero cambiare mentalità agli agricoltori, che da lì in avanti iniziarono a sfruttare di più i campi, utilizzando di conseguenza più acqua. Soprattutto per le risaie: l’India è il più grande esportatore di riso al mondo, e questa coltivazione intensiva richiede enormi quantità di acqua.

Dai primi anni ‘60, con l’aumento di queste coltivazioni, si iniziarono a utilizzare anche le risorse sotterranee. Solo nel 2009 una legge iniziò a preservare queste acque, per far funzionare meno i pozzi nei mesi più caldi dell’anno, quelli prima dei monsoni. Ritardando la semina della risaia, però, il divario tra raccolta e semina si è ridotto sempre più; e il modo più rapido per ripulire i campi era bruciarli. Una pratica diffusissima quindi, conseguenza del cattivo rapporto tra l’India e le sue acque. Una volta che quelle sotterranee si esauriranno, l’aria di novembre risulterà molto più pulita. Ma questo coinciderà con un gravissimo problema idrico.