Economia

L’edilizia cresce ancora. E nel 2023?

Dopo la frenata per la pandemia e la ripresa nel 2021, il settore ha registrato +12% nel 2022. Probabilmente l’anno prossimo non sarà più così. L’Associazione Nazionale Costruttori Edili spiega perché
Credit: Igor Starkov
Tempo di lettura 4 min lettura
2 novembre 2022 Aggiornato alle 11:00

Durante la pandemia il settore dell’edilizia si è parzialmente fermato, ma la ripresa è arrivata già nel 2021 (+20,1%), registrando, infine, un’ulteriore crescita del 12,1% nel 2022. Ora, nel 2023, tornerà un’inversione di rotta, secondo l’analisi dell’Osservatorio congiunturale dell’Ance, Associazione Nazionale Costruttori Edili.

In questo ambito ha inciso molto il Superbonus che, dall’anno prossimo, non interesserà più le villette unifamiliari. Ad aggravare la stima in negativo si aggiunge il mancato decollo delle opere finanziate dal Pnrr, che regista dei ritardi arrivati già a 6 mesi, complice anche l’aumento dei prezzi delle materie prime.

Per comprenderne meglio la portata, analizziamo le percentuali di investimento divise per comparti. Nel 2008, ultimo anno del ciclo di crescita di inizio millennio, si registrava un 20,7% di investimenti nel campo della manutenzione straordinaria residenziale e un 28,3% di investimenti nel campo delle costruzioni non residenziali private.

Mentre nel 2022 gli investimenti sono cambiati profondamente: per il 39,8% hanno interessato la manutenzione straordinaria residenziale; per il 32,2% il comparto delle costruzioni non residenziali private; per il 27,6% nuove abitazioni e per il 23,4% costruzioni non residenziali pubbliche.

A questo si somma la difficoltà del settore di rispondere a degli shock di domanda che negli ultimi 2 anni ha richiesto una manodopera non disponibile, dato che è frutto dei precedenti anni, dal 2008 al 2020, di troppi ridotti investimenti nel settore.

La domanda ha riguardato soprattutto piccoli investimenti, legati come abbiamo visto alla manutenzione straordinaria residenziale, che si è tradotta nell’occupazione delle piccole imprese: oggi abbiamo quasi il 96% delle imprese di settore che arrivano al massimo a 9 addetti. Una frammentazione che poi non è capace di essere competitiva di fronte a importanti investimenti.

Questa situazione deve riportarci alla mente il periodo in cui in Italia, in concomitanza con le proteste degli anni ’60 e le crisi energetiche degli anni ’70, l’operaio passò dall’essere una voce di spesa molto bassa ad avere un costo importante. I grandi progettisti si affacciarono brillantemente sul mercato internazionale, riuscendo a superare il periodo, mentre le tante e piccole medie imprese di cui l’Italia era ricca, morirono silenziosamente in quel periodo di austerity. Oggi fortunatamente le condizioni al contorno sono del tutto cambiate!

Nel resoconto dell’Ance è interessante notare la differenza di quanto successo rispetto ad altri mercati europei: in Italia, nell’ultimo periodo, circa un terzo della crescita del Pil è dovuto agli investimenti nel settore delle costruzioni, motore principale di crescita dell’economia italiana.

Ma bisogna tener conto del peggioramento delle condizioni economiche delle famiglie italiane e sottolineare il preoccupante dato relativo al patrimonio umano under25 che nel 2020 è stato sotto la quota 23% rispetto al totale: unico Paese europeo a registrare dati così negativi.

Tutto si traduce in una riduzione del potenziale di crescita, sia demografico che economico, aggravato già dall’inflazione e dall’aumento dei prezzi dell’energia che trasforma radicalmente la condizione abitativa.

«È necessario che la politica avvii le riforme strutturali di cui il Paese ha bisogno - dichiara la Presidente Ance, Federica Brancaccio, che sollecita il neo Governo a adottare - una politica industriale di settore che consenta alle imprese di affrontare al meglio le sfide dei prossimi mesi».

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