Diritti

Come difendersi dalla violenza online?

Il primo passo è capire cosa sia. Cyberstalking, cybermolestie, revenge porn, stalkerware: il progetto DeStalk prova a fare chiarezza, con qualche pillola di sicurezza informatica
Costanza Giannelli
Costanza Giannelli giornalista
Tempo di lettura 9 min lettura
2 novembre 2022 Aggiornato alle 14:00

Lo abbiamo detto recentemente e lo ripetiamo, perché questo è un argomento su cui le parole non sono mai sprecate: la violenza online è violenza. Conoscerla, per contrastarla, è fondamentale, così come dotarsi dei giusti strumenti per farlo.

Questo è l’obiettivo del progetto DeStalk, che riunisce 5 partner europei (European Network for the Work with Perpetrators of Domestic Violence, Fundación Blanquerna, Kaspersky, Una Casa per l’Uomo di Treviso e Regione del Veneto in collaborazione con Coalition Against Stalkerware) con l’intento di avviare in Italia – al secondo posto dopo la Germania nella classifica dei Paesi più colpiti a livello europeo – la prima campagna di formazione, informazione e sensibilizzazione tramite social media. Il progetto coinvolgerà la rete dei centri antiviolenza D.i.Re. e la rete dei centri per uomini autori di violenza di genere Relive.

Il lancio della campagna, previsto per il 25 novembre a Venezia, è stato anticipato il 22 ottobre durante il seminario virtuale La violenza online: come riconoscerla e come difendersi, un laboratorio che si è tenuto online durante il festival L’Eredità delle Donne. Non solo una riflessione teorica, ma anche spunti e consigli per per prevenire, combattere e perseguire la violenza online.

In attesa del lancio ufficiale della campagna e del seminario europeo che si svolgerà online il 16 dicembre, ci sono 2 punti, in particolare, che pensiamo sia utile condividere.

La violenza digitale: riconoscerla per combatterla

Cosa è la violenza online? Questo è sicuramente IL primo punto centrale quando si parla di cyberviolenza contro le donne: prima di capire come prevenirla, combatterla e perseguirla, infatti, dobbiamo imparare a riconoscerla.

Come accade nel mondo reale, infatti, anche la violenza virtuale assume tante forme. Per questo, l’intervento di Elena Gajotto, vicepresidente di Una Casa per l’Uomo, associazione che si occupa di violenza (fisica e digitale, tra cui il confine è spesso fin troppo labile) - sia assieme alle vittime che la subiscono che agli uomini che la agiscono - è stato proprio incentrato sulle varie declinazioni che la violenza online può assumere.

Parliamo di cyberstalking e videosorveglianza. Quando pensiamo alla cybersorveglianza, immaginiamo hacker e spie. Niente di tutto questo: controllare qualcuno online è molto più semplice e non richiede app o abilità particolari. Accedere ai nostri dati personali, anche i più sensibili, è infatti possibile tramite una serie di applicazioni e strumenti che utilizziamo quotidianamente e che spesso non tuteliamo con sufficiente attenzione.

Alcuni esempi? Account Google/iCloud, email, Whatsapp o altre app di messaggistica, account di shopping online, smartwatch e device di smart fitness, social media, dati Gps dell’auto, account di prenotazioni viaggi e di prenotazione cibo, app di parental control.

In alcuni casi, addirittura, siamo noi stessi a condividere la password con amici o magari proprio con il partner, in una visione distorta e tossica di “massima trasparenza”. Un fenomeno molto diffuso e preoccupante, più di quanto potremmo pensare.

Non solo il 71% degli autori di violenza domestica controlla il computer della partner e il 54% ne traccia i cellulari con software appositi, ma secondo una ricerca globale commissionata da Kaspersky nel novembre 2021 – che ha riguardato oltre 21.000 partecipanti in 21 Paesi – una percentuale significativa di soggetti (30%) non vede nessun problema in questo e lo trova accettabile in talune circostanze. Di coloro che pensano che ci siano ragioni giustificabili per mettere in atto una sorveglianza segreta, quasi due terzi adotterebbero questo comportamento se avessero ragione di credere che il proprio partner è infedele (il 64%) o se riguardasse la loro sicurezza (63%). Significativamente, sono meno numerosi i soggetti (il 50%) che attuerebbero il controllo se credessero che il proprio partner è coinvolto in attività criminose.

Il controllo può essere realizzato in vari modi, sia espliciti – richiesta (o coercizione) per avere le password, controllo periodico dei dispositivi, condivisione dei dispositivi – che nascosti, come sottrazione delle password o utilizzo di dispositivi e software, sia appositamente pensati per lo spionaggio (detti stalkerware) sia di uso quotidiano (Gps, impianti di videosorveglianza, dispositivi smart home) sfruttati in ottica di sorveglianza e controllo.

Per comprendere meglio cosa sia lo stalkerware, i membri della Coalition against Stalkerware hanno creato un video che spiega in cosa consista questa minaccia, elenca i segnali più comuni per riconoscerla e indica le misure da prendere e quelle da evitare.

Poi ci sono le cybermolestie: email e messaggi non desiderati, minacce di violenza fisica e sessuale via email, messaggi o chat, richieste offensive o inappropriate sui social network, hate speech (uso di un linguaggio denigratorio, offensivo, minaccioso) sono tutti esempi di molestie virtuali. Molestie che, ricordiamo, vengono fatte contro le donne in quanto donne.

Il 58% delle ragazze giovani e adolescenti – quasi 6 su 10 – subisce questo tipo di molestie quotidianamente sui social network. Per questo 1 su 5 ha rinunciato o ridotto in modo significativo la propria presenza online, mentre 1 su 10 è stata costretta a modificare il modo di esprimersi online per evitare le molestie. Non solo: il 42% ha ammesso di avere una bassa autostima o di aver perso la fiducia in se stessa a causa di una o più esperienze sui social media.

Se è vero che tutti possono essere colpiti dalla violenza online, secondo le stime dell’Onu, negli spazi virtuali il 95% di comportamenti aggressivi, minacce, linguaggio violento e immagini denigratorie sono rivolti contro le donne, soprattutto da parte di (ex) partner.

C’è anche il revenge porn: ma attenzione al termine. Il modo corretto di riferirsi a questo tipo di abuso è “image based sex abuse”, ovvero la diffusione non consensuale di contenuti multimediali intimi e personali, sia condivisi volontariamente che sottratti. La parola revenge porn, infatti, è sbagliata per due aspetti: prima di tutto perché porta erroneamente a pensare che si tratti di pornografia, in secondo luogo perché “revenge” induce a pensare che la diffusione di foto, video o audio intimi sia avvenuta per “vendetta” e, quindi, come reazione e conseguenza di un’azione da persona offesa che si trasforma inconsciamente da vittima a carnefice.

Un aspetto su cui si riflette meno, però, è che una forma di violenza è anche la limitazione l’accesso al digitale è una forma di violenza. L’accesso alla tecnologia è un diritto – per questo limitare la tecnologia non è la soluzione, perché non ferma la violenza – per questo impedire a qualcuno di utilizzare internet, il telefono o il pc o alcune app è una forma di violenza digitale.

Prevenire la violenza online: pillole di sicurezza informatica

Prevenire la violenza online quando si parla di genere si traduce spesso in “dire alle donne di controllarsi e stare attente a quello che fanno”, riducendo la questione non solo al limitato ambito del revenge porn ma anche, e soprattutto, al controllo della sfera sessuale e intima di donne e ragazze. Questo non è solo sbagliato perché punta il dito contro la vittima piuttosto che sull’esecutore, ma anche pericoloso, perché porta a sottovalutare tutte le altre forme, anche più sottili, che la violenza online può assumere.

Un elemento centrale per tutelare tutte e tutti è invece l’attenzione a quelli che sono gli strumenti di sicurezza digitale che spesso abbiamo già a disposizione ma che non conosciamo e che non richiedono competenze informatiche avanzate ma un’alfabetizzazione digitale di base. Nel suo intervento Luca Cadonici ha spiegato dettagliatamente come tutelarsi da “intrusioni e abusi” sia a livello più elementare che attraverso misure più sofisticate. Vediamo in particolare le prime, che ciascuno di noi dovrebbe implementare quando utilizza li strumenti digitali.

Password sicure (attenzione ai nomi di animali, familiari, date di nascita o significative o riferimenti a passioni e preferenze: meglio optare per le password sicure suggerite dai sistemi operativi), sistemi di password criptate protetti da master password, sistemi di doppia verifica sono tutti strumenti ancora poco utilizzati ma fondamentali per tutelare la propria identità digitale.

Attenzione anche a lasciare libero accesso alle proprie password (mai scriverle su un supporto cartaceo, ma è importante non lasciarle nemmeno salvate in dispositivi condivisi o non protetti) e a tutto ciò che viene scaricato sul dispositivo: potrebbe essere un cavallo di Troia (trojan horse in gergo tecnico) per un malware, un software che si installa sul dispositivo e permette di sorvegliarlo, o una stalkerware.

Capire se sul nostro dispositivo è stato installato un software malevolo non è facile: anche se un surriscaldamento troppo frequente e una durata della batteria breve in maniera anomala possono essere indicatori, non è possibile avere la certezza, soprattutto nei casi di un device datato o di un sistema operativo non aggiornato. Anche questo è un aspetto fondamentale e spesso sottovalutato: gli aggiornamenti di sistema hanno spesso dei miglioramenti di sicurezza che è importante non rimandare.

Un mezzo attraverso cui vengono rubati dati sensibili o installati strumenti di controllo è il phishing (detto anche Spear Phising quando è fatto in maniera mirata): messaggi o email che sembrano provenire da istituti bancari, forze dell’ordine o aziende che chiedono di cliccare su link e condividere dati di accesso e password a fini di truffa o stalking. È importante fare sempre attenzione al mittente del messaggio, verificando che sia reale, evitare di cliccare su link se non si è sicuri della provenienza e non condividere mai le proprie credenziali se non si è sicuri di essere sul link ufficiale.

Altri suggerimenti per proteggersi dalla violenza online, arrivano dal report Lo stato dello stalkerware nel 2021, a cura di Kaspersky e Coalition Against Stalkerware: proteggere il telefono con una password forte che non devi condividere con il tuo partner, con gli amici o colleghi, cambiare regolarmente le password di tutti gli account e non condividerle con

nessuno, scaricare le app solo da fonti ufficiali, come Google Play o Apple App Store, installare sui dispositivi un sistema di sicurezza IT affidabile ed eseguite regolarmente la scansione.

Tuttavia, in caso di stalkerware potenzialmente già installato, questo andrebbe fatto solo dopo aver valutato il rischio per la vittima, dal momento che l’abusante potrebbe accorgersi che si sta utilizzando una soluzione per la cybersicurezza.

Le vittime di stalkerware possono essere vittime di un ciclo di abusi di maggiore portata, inclusi abusi fisici. In alcuni casi, il persecutore riceve un avviso se la sua vittima esegue una scansione del dispositivo o rimuove un’app stalkerware. In questo caso, ciò può comportare un aggravamento della situazione e ulteriori aggressioni. Ecco perché è importante procedere con cautela se pensi di essere vittima di stalkerware. Le associazioni contro la violenza, la polizia postale o il numero dedicato 1522 sono a disposizione delle vittime di stalking, fisico e digitale, in ogni momento.

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