Diritti

La scuola non può essere il capro espiatorio di ogni contagio

Anche Draghi ha parlato chiaro: è assolutamente necessario un cambio di marcia, nell’intreccio tra istruzione scolastica e pandemia
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11 gennaio 2022 Aggiornato alle 11:00

Ancora oggi c’è chi si chiede se barattare la sofferenza dei nostri figli in cambio di meno danni per noi adulti. Magari adulti non vaccinati, che scelgono volontariamente di mettere a rischio la loro vita. Chiudiamo le scuole per proteggere loro? I contagi crescono mentre la scuola è chiusa ma l’unica cosa su cui si discute è se tenere aperte le scuole o no, se mettere i ragazzi in Dad o meno. Se farlo subito o aspettare che siano i contagi a mettere in quarantena classi intere. Non ha senso fare lezioni a distanza quando tutto il resto rimane aperto, è frustrante doverlo ripetere continuamente: la scuola non può essere il capro espiatorio di ogni contagio.

Il Presidente del Consiglio Mario Draghi ha aperto la sua conferenza stampa parlando proprio di scuola: “La Dad provoca disuguaglianze destinate a restare”, il nostro Paese ha trascorso in didattica a distanza il triplo dei giorni rispetto alla media degli altri Paesi più ricchi del mondo. In alcune città italiane “i giorni di scuola in presenza sono stati solo 42 in un anno. Non vogliamo fare più così, vogliamo fare che l’Italia resti aperta con tutte le cautele necessarie”, perché “la scuola è fondamentale per la nostra democrazia”.

Quando ancora non avevamo i mezzi per combattere il virus, l’intera società si è fermata e la didattica a distanza è stata un effetto collaterale che abbiamo dovuto accettare. Dopo 24 mesi di pandemia la situazione è cambiata, abbiamo i vaccini e molte informazioni in più sugli enormi costi che comporta chiudere delle scuole. I dati riportati l’estate scorsa da Invalsi parlano chiaro: l’apprendimento è peggiorato, la dispersione scolastica implicita è aumentata, così come sono aumentati gli abbandoni. Oltre alla perdita negli apprendimenti, in questi lunghissimi mesi i nostri giovani hanno riportato problemi di salute mentale, aggravati dall’isolamento sociale e dallo sconvolgimento della pandemia.

Serve un approccio diverso rispetto al passato, come dice il Presidente del Consiglio. Dobbiamo minimizzare gli effetti economici e sociali sui ragazzi e le ragazze a cui abbiamo già chiesto molto. Sicuramente i contagi ci saranno, il rischio zero non esiste – come dicono quelli bravi – ma questo non può voler dire che si debbano chiudere le scuole, ancora. Il personale scolastico si è vaccinato proprio per tenerle aperte, e c’è chi è stato sospeso per non averlo fatto.

Abbiamo un’altra emergenza di cui occuparci, quella educativa.

Secondo l’Università di Oxford la perdita di apprendimenti rilevata nei Paesi Bassi (paese che non ha mai sospeso i test standardizzati) equivale a circa un quinto del progresso cognitivo atteso in un normale anno scolastico (perdite che salgono al 55% per gli studenti di famiglie meno istruite). Lo studio conferma che durante le (sole) 8 settimane di apprendimento virtuale i progressi degli studenti olandesi sono stati praticamente nulli.

L’impatto economico della perdita degli apprendimenti non riguarda solo gli studenti colpiti in questi anni ma l’intera società. Dalla ricerca The Economic Impacts of Learning Losses di E. A. Hanushek e L. Woessmann si evince che gli studenti colpiti dalle chiusure potrebbero aspettarsi circa il 3% di reddito in meno nel corso della loro vita. Per gli Stati la minore crescita a lungo termine legata a queste perdite potrebbe produrre, ottimisticamente, una media dell’1,5% di Pil annuale in meno per il resto del secolo. Perdite – avvisano gli studiosi – che potrebbero peggiorate se non fossimo in grado di ripartire rapidamente. Lo scrivevano a settembre 2020, e la pandemia era appena iniziata.

Prima ancora che questo virus ci travolgesse, l’Italia era tra i paesi europei con il più alto numero di abbandoni scolastici, il più basso numero di laureati e il più alto numero di Neet (Persone, soprattutto di giovane età, che non hanno né cercano un impiego e non frequenta una scuola né un corso di formazione o di aggiornamento professionale, ndr).

La nostra Scuola arrancava anche in presenza, purtroppo, figuriamoci quindi a distanza. Oggi abbiamo bisogno di un nuovo approccio: esattamente come è stato delineato dal Premier Mario Draghi.