Diritti

Ue: il piano della Repubblica Ceca per ricollocare i migranti

Il Paese, ora alla presidenza del Consiglio europeo, ha proposto di stabilire una quota fissa annua di 5.000-10.000 richiedenti asilo da trasferire in Stati diversi da quelli di primo ingresso
Credit: EPA/Adriel Perdomo
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
3 novembre 2022 Aggiornato alle 16:00

L’Unione europea sta discutendo di riforme in materia di immigrazione e asilo, ora che i numeri si stanno avvicinando alla crisi dei rifugiati del 2015: gli ultimi dati mostrano che a luglio le domande di asilo all’Ue sono state più di 70.000 per il terzo mese consecutivo. La Repubblica Ceca, che detiene la presidenza di turno ancora per due mesi, ha proposto di fissare un minimo annuale per il numero di richiedenti asilo che gli Stati membri sono disposti a ricollocare.

L’idea è che i Paesi trasferiscano volontariamente un minimo di 5.000 o 10.000 migranti all’anno, secondo la bozza visionata dal quotidiano Politico Eu e datata 20 ottobre. Il documento potrebbe rappresentare un potenziale approccio di compromesso sulla gestione dell’asilo e dei flussi migratori, temi che da tempo tormentano i membri dell’Ue, che sperano di concludere i dossier legislativi prima delle elezioni europee del 2024.

Il dibattito, spiega la testata EUobserver.com, si inserisce nella revisione delle leggi dell’Ue in materia di asilo e migrazione proposta dalla Commissione europea nel settembre 2020, ed è una delle questioni più controverse dopo l’ondata migratoria del 2015. Il richiedente asilo, spiega la rete Open Migration, “è una persona che, fuori dal Paese di origine, presenta, in un altro Stato, domanda di protezione internazionale o comunque ha manifestato la volontà di chiedere asilo”.

Il diritto di asilo è garantito dall’articolo 14 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del dicembre 1948, ma anche da diversi atti dell’Unione europea. La procedura di ricollocazione è “un meccanismo di selezione a cui possono aderire quelle persone in evidente necessità di protezione internazionale, appartenenti cioè a nazionalità il cui tasso di riconoscimento di protezione è pari o superiore al 75% sulla base dei dati Eurostat”.

La modalità di ricollocazione dei richiedenti asilo che arrivano alle frontiere del blocco è sempre stata fonte di dibattito perché in precedenza non è mai stato raggiunto un accordo sull’istituzione di un sistema di distribuzione obbligatoria, soprattutto a causa dell’opposizione di Paesi dell’Europa centrale come Ungheria e Polonia.

Il documento, intitolato “Way forward on EU migration solidarity and crisis response mechanism”, parla di una soglia minima annuale da considerare per i trasferimenti volontari: dà una cifra, tra i 5.000 o 10.000 rifugiati, ma secondo il piano ceco la Commissione europea potrebbe spingersi ancora più in là, proponendo un obiettivo annuale di ricollocazione più alto. Si tratterebbe, però, di un impegno volontario: come spiega Politico, la proposta si inserisce nel quadro della “solidarietà flessibile”, non obbligatoria, che consente a ciascun Paese di decidere se occuparsi direttamente dei richiedenti asilo, accogliendoli nel proprio territorio, oppure offrire aiuto finanziario ai Paesi che devono gestire un flusso migratorio.

La normativa vigente prevede che i richiedenti asilo presentino la domanda di asilo nel primo Paese di ingresso dell’Ue, spesso l’Italia o la Grecia. Poi, se poi si spostano all’interno di uno dei 27 Stati membri, possono essere rimandati nel primo Paese in cui hanno messo piede, come prevede il Regolamento di Dublino. Ma sono già allo studio deroghe per i Paesi che devono affrontare una forte ondata migratoria.

Secondo un funzionario dell’Ue citato da Politico, finora i Paesi del Mediterraneo, che rappresentano il principale punto di accesso europeo per i migranti che arrivano dall’Africa e dal Medio Oriente, sembrano aver accolto con favore la proposta ceca. Sono i Paesi più interni, quelli che i migranti sperano di raggiungere, come il Belgio o i Paesi Bassi, i meno favorevoli. C’è tempo fino alla fine di novembre per discutere la proposta. Se gli Stati non dovessero accettare, spetterà alla Svezia, il prossimo Paese a presiedere la presidenza dell’Ue, cercare di trovare una soluzione.

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