Futuro

I miliardari stanno comprando la democrazia digitale?

Elon Musk si aggiunge alla lista dei magnati proprietari dei social network. Ma forse non è una buona notizia
Credit: Noah Buscher/unsplash
Tempo di lettura 4 min lettura
30 ottobre 2022 Aggiornato alle 06:30

«Elon Musk ha completato l’acquisto di Twitter e ha licenziato alcuni dirigenti».

Così mi sveglia la Bbc, con una notizia che racconta di un magnate che ha comprato un social media, per 44 miliardi di dollari. Per intenderci, 4 in più di quanti ne andrebbero investiti annualmente per risolvere la fame nel mondo entro il 2030.

Elon Musk oggi fa notizia, ma segue una lunga linea di uomini ricchi che sono proprietari di mezzi di informazione. Basti pensare a Meta, al cui vertice risiede Zuckerberg o al nostrano Berlusconi che ha acquisito Mondadori (un colosso sotto le cui formalità riposano Einaudi, Rizzoli, Garzanti e tanti altri poli editoriali) e costruito Mediaset. Uomini di estremo potere che comprano i media ci sono sempre stati, eppure, la notizia ci deve sconvolgere.

I social media vengono spesso usati per la politica dal basso. Associazionismi, proteste, finanche rivolte, sono gestite tramite pochi tocchi veloci su uno schermo. Premuto invio il messaggio, il post o il tweet scorrono velocissimi e istantanei per raggiungere, virtualmente, chiunque abbia accesso a una connessione.

La rivolta in Iran, a esempio, sfrutta la mediatizzazione permessa dai social per denunciare violenze che, un secolo fa, sarebbero state scoperte solo a posteriori. Piccole eco delle piazze di Teheran si disperdono nel mondo, riempiendo altre piazze di altri Paesi del medesimo grido. Lo stesso era valso per Black Lives Matter, per il #Metoo e per le proteste per il clima. Il web permette la globalizzazione della politica in una forma inedita e particolare, fortemente rispettosa del locale, decisamente non orientata alla standardizzazione e quindi all’omologazione delle istanze e delle modalità come invece accade per molti flussi globali. Il locale vive nel globale grazie alla collettivizzazione della conversazione e della protesta politica. Il tutto però - e purtroppo - avviene all’interno di spazi privati e progressivamente concentrati.

Lo scandalo di Game Stop aveva acceso le polemiche, da una presa di posizione su Reddit è stato influenzato il mercato della finanza, un evento che fa sorridere quasi, di cui Netflix non ha esitato a proporre un documentario. L’evento ha sancito una consapevolezza che già era nell’aria, che Trump stesso aveva sfruttato: innestare una verità sui social media significa avere un effetto potente e spesso determinante sul reale esterno.

Ed ecco che Musk, con 44 miliardi, si trova nella posizione di determinare oscillazioni di mercato, stabilire cosa si possa dire e come su Twitter, un social che conta più di 300 milioni di utenti.

I social media sono diventati la sede delle indicazioni politiche, le campagne elettorali si svolgono al loro interno e i candidati si mostrano persino più diretti di quanto farebbero all’esterno.

La politica sui social è facile, sposa con grazia le forme degli algoritmi impegnatissimi a rosicchiare tempo del reale offrendo contenuti che spesso confermano le credenze e coccolano l’utente (nelle cosiddette camere dell’eco) o lo indignano mostrando posizioni opposte ed estreme rispetto alla sua, sfruttando la rabbia incendiaria del sentimento in modo da acuire la polarizzazione. Perché nulla ispira contenuto più della rabbia, e il contenuto è tempo, è denaro, è umanità convertita in dati. Dati il cui accesso è sempre verticale, sempre concentrato.

Se alla politica - come elettorato passivo - arrivano in maniera maggiore i membri delle classi sistemicamente avvantaggiate, al controllo della politica arrivano i magnati, anche quando apparentemente esterni alla politica. Infilandosi nella cultura di massa possono modificarne i paradigmi. Una nuova forza risiede quindi nel digitale, capace di fare pressioni e spingere interessi e, addirittura, di determinare un risultato elettorale.

La nostra comunicazione politica e non su Twitter, da oggi passa per i desideri di Musk. Su Meta per quelli di Zuckerberg. Insomma, al filtro e al vaglio di miliardari bianchi, ricchi che più ricchi non si può.

Viene da chiedersi ora, anche la democrazia è diventata di proprietà?

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