Diritti

Ci sarà davvero un nuovo Pd?

Il percorso che porterà il Partito democratico verso la sua svolta o il suo declino sarà caratterizzato da un congresso costituente in quattro fasi. Riunione finale entro la primavera 2023
La presidente del Partito Democratico Valentina Cuppi durante la Direzione nazionale del Pd nella sede del Partito democratico, Roma, 06 ottobre 2022
La presidente del Partito Democratico Valentina Cuppi durante la Direzione nazionale del Pd nella sede del Partito democratico, Roma, 06 ottobre 2022 Credit: ANSA/ANGELO CARCONI ANSA/ANGELO CARCONI ANSA/ANGELO CARCONI
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18 ottobre 2022 Aggiornato alle 06:30

Entro la fine dell’inverno arriverà il nome di una nuova segreteria che dovrà traghettare il vecchio Pd verso il nuovo Pd.

Un avvio di un percorso che dovrebbe portare quindi a un profondo cambiamento del partito e del suo gruppo dirigente.

Ma tocchiamo alcuni dei temi affrontati all’interno della direzione.

In primo luogo, analizziamo la dibattuta “questione femminile”.

A farsene portavoce, è Valentina Cuppi, presidente del Partito democratico, sindaca di Marzabotto e non eletta alla Camera dei Deputati.

Lei stessa, parla esplicitamente di maschilismo all’interno del gruppo dirigente.

La risposta di Enrico Letta si sostanzia in: «La rielezione dei prossimi capigruppo al Senato e alla Camera di genere femminile, come aveva deciso già nella legislatura appena conclusa». Tale proposta non convince però alcuni veterani del partito come Luigi Zanda.

Scusate la franchezza, ma ho l’impressione che si tratti di un contentino. Procediamo.

Alessia Morani, ex deputata e sottosegretaria di Stato al Ministero dello Sviluppo Economico, si fa avanti chiedendo le dimissioni di Cecilia D’Elia, presidente della Conferenza delle donne democratiche e neoeletta al Senato.

La Conferenza, è un organo nato nel 2020, ma mai riunitasi, almeno a livello extradirigenziale.

Cecilia D’Elia viene accusata di non aver vigilato sui favoritismi nei confronti degli uomini del partito e l’ex deputata Patrizia Prestipino, rincara la dose in un pungente tweet: «Però è interessante che la portavoce della conferenza delle donne si scagli contro le correnti del Partito democratico. Io voglio bene a Cecilia D’Elia, ma lei chi ce l’ha messa in quel ruolo che ricopre? Così, per dire».

Altro punto cruciale, “questione giovanile”, errore evidenziato principalmente dall’europarlamentare Brando Benifei: «Soltanto due under 35 sono stati eletti».

Si parla quindi di liste sbagliate, lamentando di una errata strategia di assegnazione di seggi.

Forse, ora è un po’ tardi per pensarci.

Ad ogni modo, la direzione si chiude in una cornice ottimista, prefigurata dallo stesso dimissionario Enrico Letta: «Siamo gli unici ad aver fatto elezioni in alternativa alla destra, tutti gli altri hanno fatto elezioni in alternativa a noi».

Il segretario continua: «Un campo ha vinto perché è stato unito, il nostro campo invece non lo è stato nonostante il lavoro di mesi e anni per costruire il campo largo, una larga unità, unica condizione con la quale si sarebbe potuto vincere».

Ma il Partito democratico, ricorda Letta: «È il partito guida dell’opposizione, il secondo partito in Italia e il primo tra quelli che non fanno parte della maggioranza, questo giustifica e motiva il lavoro che va cominciato adesso, in vista delle prossime pagine da scrivere».

Insomma, l’idea è quella di smetterla di parlare esclusivamente con la fascia privilegiata della società, ma ricominciare a parlare con chi più ne ha bisogno.

In questo, ritengo sia fondamentale iniziare un serio ragionamento sul concetto di rappresentanza. Ma è solo un’idea.

Letta continua esprimendo come priorità quella di organizzare l’opposizione contro un governo che mostra già adesso le sue difficoltà, pur non essendo nato del tutto.

Ma le problematiche del Partito democratico non sembrano finire.

Ciò che emerge al di là delle parole di Enrico Letta è lo scenario di una faticosa vigilia congressuale che ha visto il moltiplicarsi delle correnti e dei possibili candidati alla segreteria.

C’è chi auspica un’“autosufficienza di partito”; chi spera in un’alleanza con Movimento 5 Stelle o Carlo Calenda; chi spera in uno scioglimento che possa portare a una nuova ricomposizione.

Alla guida della corrente degli autonomisti troviamo Romano Prodi, storico fondatore del Partito democratico: «Ho speso tutta la mia vita politica per riunire le culture del riformismo. Il Pd va cambiato ma scioglierlo sarebbe come ripudiare la mia vita».

La situazione non si prospetta semplice soprattutto per la differenza di visioni, da sempre punto cruciale del Partito.

Che forse sia giunto il momento di fare una scelta? Assecondare il tentativo di accontentare le visioni di ogni corrente non ha portato all’immobilismo?

Immobilismo e pantano di idee.

Mi chiedo quindi: “Ci sarà davvero un nuovo Pd questa volta?”

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