Ambiente

Smart working, amico dell’ambiente (più o meno)

Rientro in ufficio? Tornano gli ingorghi in città e aumentano le emissioni climalteranti. A casa invece bisogna regolare la temperatura, altrimenti i costi aumentano. Ma un rimedio c’è…
Credit: Nguyen Dang/unsplash
Tempo di lettura 6 min lettura
14 ottobre 2022 Aggiornato alle 06:30

L’ Italia è un Paese bipolare: pro-vax e no-vax, putiniani e zelenskiani, progressisti e conservatori, a favore di rinnovabili o aedi del motore a scoppio. Così è accaduto anche sullo smart working, tra chi lo ritiene una soluzione all’avanguardia per la ricerca di un bilanciamento vita-lavoro e chi invece lo vede come l’ultima frontiera dei fannulloni improduttivi.

Come sempre la complessità della realtà vede una serie di sfumature lontane dal manicheismo della vulgata da social. C’è chi a casa non ha gli spazi e la tranquillità o rifugge dalla solitudine in cerca del calore di colleghi e colleghe, chi invece produce in maniera molto più efficace nel proprio studio lontano dai chiacchieroni e capi fissati con i meeting ogni 30 minuti (salvo però organizzare call su zoom anche per questioni futili, a cui basterebbe una mail o una breve telefonata). La soluzione sta sempre in un’attenta via di mezzo.

Eppure in Italia sembra che il partito contro il lavoro remoto stia avendo il sopravvento: contrordine si torna tutti in ufficio. Gli ultimi dati dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano mostrano infatti che nel nostro Paese il ricorso al lavoro agile è in calo drastico. Se lo scorso anno, causa forza maggiore, lo smart working era praticato da 4 milioni di persone, nel 2022 si raggiungono a malapena i 3 milioni. Si torna in ufficio soprattutto nella pubblica amministrazione e nelle Pmi (Piccole e medie imprese), dove i datori di lavoro preferiscono vedere le scrivanie piene ed essere rassicurati dalla presenza dei lavoratori.

C’è però un dato oggettivo interessante che faremmo bene a considerare. Con la riduzione dello smart working sono tornati gli ingorghi alle porte delle città, i consumi di elettricità negli uffici sono aumentati. Risultato? Tornano a cresce le emissioni climalteranti.

Quando lavoratrici e lavoratori in remoto erano 4 milioni e mezzo, le emissioni erano calate di 1,8 milioni di tonnellate di CO2 emessa. Ora sono aumentate di circa 600.000 tonnellate. Se invece che diminuire i lavoratori da remoto tornassero a livello pandemia, ovvero con 6,5 milioni di persone coinvolte, anche parzialmente in smart working, le emissioni risparmiate raggiungerebbero di circa 2,5 milioni di tonnellate, ovvero quasi quanto le emissioni di un anno dell’intera città di Torino.

Potenzialmente si stima che circa 12 milioni di persone potrebbero fare smart working o lavoro ibrido. 5 milioni di tonnellate in meno, un numero importante sulla bilancia della CO2 del Paese.

Sono evidenti gli impatti ambientali positivi che si riflettono anche sui costi. Dimezzare il personale in ufficio può ridurre fino al 30% i costi operativi di un’azienda (a patto di ridurre anche gli spazi disponibili). Si può stimare un valore di media di 2.000 euro per postazione, tra costi di climatizzazione, luce e materiali. Un risparmio importante che richiede però un ridimensionamento e ottimizzazione degli spazi. Strategie adottate per ora da poche aziende aziende, anche se nel mondo del property management sono comparse numerose opzioni flessibili di lease degli spazi di uffici, pensati sempre più per lo smart working specie delle grandi aziende.

I lati positivi sono anche per i lavoratori e le lavoratrici che potrebbero risparmiare circa 1000 - 1200 euro l’anno, anche solo con 2 giorni di smart working a settimana. In termini ambientali significa ridurre le emissioni soprattutto di chi va al lavoro in auto, ma anche il particolato, migliorando così la qualità dell’aria, specie in quelle zone dove è critica, come la pianura padana.

Il problema però potrebbe essere la necessità di riscaldare meglio le abitazioni private durante gli orari diurni, aumentando – specie in questa congiuntura energetica – i costi per la climatizzazione. Non a caso in alcuni Paesi, come la Svizzera, si è addirittura parlato di un aiuto sulle bollette per i lavoratori in smart da parte delle aziende. Buona idea, ma sarebbe piuttosto auspicabile un bonus per l’efficienza mento domestico (uso di Led, sostegno all’acquisto di elettrodomestici in classe A+++, smart energy home appliances e

via dicendo), che addirittura potrebbe essere conteggiato come compensazione aziendale delle emissioni di CO2 contabilizzata sul tempo-vita delle soluzioni sovvenzionate.

Quindi, a casa sempre o sempre in ufficio? La soluzione che sembra trovare più consensi (e che dimostra che poi non siamo così manichei) è la versione ibrida. C’è chi chiede ai dipendenti a venire almeno un giorno in ufficio, chi almeno 3, chi non disdegna chiudere gli uffici dal giovedì sera al martedì mattina. Anche 2 giorni off possono avere il loro impatto e agevolare i dipendenti, quanto i manager. Il rischio in questo caso è di avere ingorghi molto affollati in quei giorni e vedere uno svuotamento in uscita dai grandi centri il venerdì (come si è registrato nel 2021).

Azzerare il contatto con i colleghi è poco auspicabile, ma una riduzione parziale del lavoro in presenza presenta ovvi co-benefici. Altre soluzioni che stanno emergendo sono i gruppi domestici di lavoro, dove si creano spontaneamente co-working tra colleghi della stessa azienda o di aziende diverse, che magari vivendo in prossimità o con un piccolo spostamento a piedi e in bici preferiscono condividere uno spazio (e magari i costi di internet, luce e climatizzazione).

Per soggetti fragili, neo lavoratori, single, genitori con spazi ristretti lo smart working totale ha un impatto negativo. Varie indagini hanno mostrato che fino al 35% degli intervistati hanno visto un aumento della depressione o un peggioramento dell’umore con lo smart working forzato dalla pandemia. Dunque anche momenti di lavoro di gruppo anche in ambiti diversi dal nomale ufficio (remote working, co-working domestico, workation di gruppo e tutti i neologismi del caso che ancora necessitano traduzione), possono beneficiare produttività e benessere del lavoratore, aumentando la lealtà del lavoratore e offrendo queste soluzioni ibride come bonus lavorativi (meglio l’auto aziendale o fare un mese di remote working a luglio in una casa colonica in montagna?).

Certo siamo solo all’inizio di una necessaria e desiderata trasformazione del lavoro, creando migliori comunità di colleghi e ascoltando attentamente le necessità di tutti, ma aprendo opportunità di riduzione degli impatti ambientali e dei costi aziendali. L’importanza è non guardare al passato, scegliendo soluzioni di sorveglianza panoptica di Foucaultiana memoria. Le riduzioni di emissioni dello smart working devono e possono essere conteggiate e entrare a pieno titolo nelle strategie Esg, di decarbonizzazione o Csr dell’azienda, non importa le dimensioni. Cogliamo questa opportunità di trasformazione nella maniera più intelligente possibile.

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