Futuro

Intesa Sanpaolo sposa la settimana corta

Sul tavolo, l’idea di lavorare 9 ore al giorno per 4 giorni passando da 37,5 a 36 ore settimanali in ufficio a parità di stipendio
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Fabrizio Papitto
Fabrizio Papitto giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
11 ottobre 2022 Aggiornato alle 20:00

Lavorare un’ora e mezza in più al giorno in cambio di un giorno in meno a settimana. È la proposta che Intesa Sanpaolo, oltre 60.000 dipendenti in Italia e più di 85.000 a livello globale, ha presentato ai sindacati all’interno di una trattativa sul lavoro flessibile, il cosiddetto smart working.

L’idea sul tavolo è quella di una settimana lavorativa strutturata su 9 ore al giorno, invece delle attuali 7,5, per 4 giorni lavorativi complessivi, così da introdurre un giorno libero a parità di stipendio, secondo quanto già previsto dall’articolo 104 del contratto collettivo nazionale dei bancari Abi (Associazione bancaria italiana).

L’ammontare complessivo scenderebbe così da 37,5 a 36 ore settimanali. Secondo quanto riferisce il Sole 24 Ore, la scelta del giorno libero «potrebbe essere volontaria e ci sarebbe la possibilità di variare le giornate lavorate nel corso della settimana, dal lunedì al venerdì, d’intesa con il proprio responsabile».

La proposta tuttavia non riguarderebbe tutti i dipendenti del Gruppo guidato da Carlo Messina, ma solo chi lavora negli uffici, mentre le cinque sigle sindacali coinvolte nel negoziato – Fabi, First Cisl, Fisac Cgil, Uilca e Unisin – vorrebbero che la modifica interessasse tutti.

La settimana corta non è un concetto inedito. Alcuni Paesi, tra i quali Islanda, Spagna, Scozia, Belgio e Regno Unito hanno adottato o avviato piani in questa direzione già da diversi anni, mentre In Italia è stato uno dei temi portati avanti dal leader del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte nel corso dell’ultima campagna elettorale.

Nel 2019 la società informatica Microsoft ha sperimentato questo modello nella sua sede di Tokyo, riscontrando un aumento della produttività del 39,9%.

Un sondaggio condotto nel febbraio 2002 dalla società di experience management Qualtrics ha rilevato che il 92% dei dipendenti statunitensi è favorevole alla settimana lavorativa di 4 giorni, e l’82% sostiene che questo li renderebbe più produttivi. Oltre un terzo (37%), infine, si dichiara disposto a tagliare lo stipendio del 5% o più in cambio di week-end ricorrenti di 3 giorni.

Nonostante questo non tutti sposano l’introduzione della settimana corta. «L’idea di stare in ufficio un giorno in meno attira molto, ma non è detto che la qualità della vita e dunque l’efficienza migliorino – ha dichiarato intervistato da La Stampa Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano – Proviamo a pensare a quanta fatica già si fa dal lunedì al giovedì, immaginare di aggiungere un’ora non è affatto un dettaglio».

E se la settimana corta significa lavorare 9 ore al giorno, seppure per 4 giorni su 7, è possibile che più di qualcuno abbia da ridire. «Dobbiamo lavorare massimo 7 ore, mentre l’altro tempo lo dedichiamo a noi stessi e alla nostra anima», ha sostenuto di recente l’imprenditore Brunello Cucinelli intervenendo alla prima edizione di Pianeta Terra Festival a Lucca.

Ma già in un’intervista rilasciata al Fatto Quotidiano a febbraio di quest’anno, il fondatore della casa di moda Brunello Cucinelli S.p.A. aveva dichiarato: «Il mio obiettivo è di arrivare a far lavorare 7 ore e mezza ma con la massima concentrazione».

Secondo una ricerca condotta a livello europeo dall’Irvapp (Istituto per la ricerca valutativa sulle politiche pubbliche), infine, gli effetti positivi della riduzione dell’orario di lavoro sulla produttività nel periodo analizzato dal 1995 al 2007 sarebbero irrilevanti, ovvero “statisticamente non diversi da zero”.

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