Diritti

La star di Inventing Anna è uscita di prigione

La truffatrice di origini russe, Anna Sorokin all’anagrafe, è ai domiciliari dalla scorsa settimana. In un’intervista rilasciata al New York Times ha dichiarato di essere dispiaciuta per aver raggirato l’élite di New York
Anna Delvey, a cui si ispira la serie Netflix “Inventing Anna”, è «veramente felice» di essere uscita dall'Orange County Correctional Facility a Goshen, New York
Anna Delvey, a cui si ispira la serie Netflix “Inventing Anna”, è «veramente felice» di essere uscita dall'Orange County Correctional Facility a Goshen, New York Credit: Credits: IPA
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
11 ottobre 2022 Aggiornato alle 19:00

Anna Sorokin non è più un pericolo per la comunità, a condizione che rimanga agli arresti domiciliari, indossi una cavigliera elettronica che controlli i suoi spostamenti e rimanga lontano dai social media.

La truffatrice di origini russe nota ai più come Anna Delvey, a cui si ispira la serie Netflix Inventing Anna, è «veramente felice» di essere uscita dall’Orange County Correctional Facility a Goshen, New York, perché «niente era garantito». L’ha detto al New York Times, che l’ha raggiunta nel suo appartamento di Manhattan una volta tornata a casa, venerdì 7 ottobre 2022.

La giornalista Emily Palmer le ha chiesto di raccontare il giorno del rilascio, avvenuto intorno alle 16, e il trasferimento «al 26 di Federal Plaza, esattamente il luogo in cui sono stata arrestata a marzo dell’anno scorso». La trentunenne Sorokin era stata condannata da una giuria di Manhattan nel 2019 per una serie di reati finanziari, tra cui furto aggravato, e dopo aver scontato la pena a febbraio 2021 era stata trattenuta per 18 mesi dalle autorità dell’immigrazione per via del visto scaduto. Rischia ancora di essere espulsa e riportata in Germania, avendo la cittadinanza tedesca.

Sorokin aveva truffato l’élite di New York fingendosi un’ereditiera proveniente proprio dalla Germania, figlia di un diplomatico o di un barone dell’industria del petrolio. Nella vita vera, secondo quanto riporta il Guardian, suo padre gestisce un’attività di riscaldamenti. Secondo l’accusa la donna aveva fatto credere a tutti di avere una fortuna da 67 milioni di dollari all’estero, falsificando documenti e mentendo alle banche per convincerle a prestarle denaro, agli hotel per farla rimanere anche senza sborsare un soldo, ai ricchi abitanti di Manhattan per pagarle i biglietti aerei al posto suo.

I debiti ammontano a circa 275.000 dollari. La cauzione pagata, invece, risulta di 10.000 dollari, ma porta con sé anche le condizioni dettate dall’Immigration and Customs Enfercement, l’agenzia federale statunitense responsabile del controllo della sicurezza delle frontiere e dell’immigrazione.

«Com’è andata la detenzione?», le chiede la giornalista del New York Times. Sorokin racconta che ottenere qualcosa per se stessi è complesso, «Sei sempre alla mercé di qualcun altro». I domiciliari sono molto meglio «per il cibo migliore, immagino. E posso ricevere visitatori dopo le 13:30 il giovedì. Vedremo solo cosa posso fare da qui. Immagino che verranno tutti da me». Sorokin ha acquistato un’enorme popolarità grazie alla serie Netflix ideata da Shonda Rimes – la creatrice della fortunata Grey’s Anatomy – e basata sull’articolo della giornalista Jessica Pressler, uscito nel 2018 sul New York Magazine, scritto a partire dalle numerose visite a Sorokin quando era in carcere.

In quel periodo i membri del suo team postavano per lei gli aggiornamenti sul caso e le interviste sul suo profilo Instagram da un milione di followers.

Secondo il Guardian la piattaforma l’avrebbe pagata 320.000 dollari per i diritti sulla sua storia.

La cauzione e i soldi per l’appartamento sono suoi, ha detto Sorokin, ma è stato il suo avvocato a trovarle la sistemazione. «Paghi la cauzione, tre mesi di affitto con un contratto di locazione di sei mesi per un appartamento con una camera da letto nell’East Village. Ma da dove viene tutto questo denaro?» si domanda e le domanda Palmer. «Immagino che tu debba chiederlo al governo», risponde lei. Ma in futuro come si sosterrà economicamente? Ancora non lo sa, ma ha molti progetti attivi. Un podcast in lavorazione, per esempio, con ospiti diversi in ogni episodio, e poi un libro.

«Mi piacerebbe fare qualcosa con la riforma della giustizia penale per mettere in luce le lotte delle altre ragazze», dice dietro gli occhialoni con la montatura nera. Ma insiste soprattutto su un punto: «Così tante persone non vedono l’ora di vedermi fare qualcosa di folle, o illegale, e tornare in prigione. Non vorrei dare loro questa soddisfazione».

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