Diritti

I 50 anni dal caso Bobigny

Nel 1971 il processo sull’aborto clandestino di Marie-Claire Chevalier - rimasta incinta dopo uno stupro - favorì, da lì a 4 anni, la depenalizzazione dell’interruzione di gravidanza
9 luglio 2020, Parigi, Ile-de-France: lo street artist C215 rende omaggio all'avvocata e celebre femminista Gisele Halimi, scomparsa  nel 2020, raffigurandola davanti al vecchio tribunale di Parigi, nel 1° arrondissement.
9 luglio 2020, Parigi, Ile-de-France: lo street artist C215 rende omaggio all'avvocata e celebre femminista Gisele Halimi, scomparsa nel 2020, raffigurandola davanti al vecchio tribunale di Parigi, nel 1° arrondissement. Credit: Julien Mattia/Agenzia Pictorium via ZUMA Press
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
11 ottobre 2022 Aggiornato alle 07:00

Si chiamava Marie-Claire Chevalier la ragazza che cinquant’anni fa diede una scossa alla Francia sul diritto all’aborto. È morta il 23 gennaio 2022, ma la sua storia rimane un esempio indelebile nella lotta per i diritti delle donne e un’ispirazione per le giovani femministe francesi.

Siamo all’inizio degli anni Settanta, l’interruzione volontaria di gravidanza non è ancora concessa nel Paese, a meno che la vita della donna non sia in pericolo.

Chevalier, figlia di una dipendente dell’autorità dei trasporti pubblici di Parigi, ha 16 anni quando un coetaneo la violenta e lei rimane incinta. Sua madre, Michéle Chevalier, la aiuta ad abortire clandestinamente e il suo stupratore le denuncia. Questo episodio, in una Francia che criminalizza la pratica fin dall’era napoleonica, spianerà la strada alla depenalizzazione dell’aborto, che arriverà nel 1975.

Lo storico processo inizia la mattina dell’11 ottobre 1972: Marie-Claire Chevalier si ritrova davanti al tribunale per i minorenni di Bobigny, nei sobborghi parigini, per aver praticato un aborto illegale ai sensi dell’articolo 317 del codice penale.

In molti si sono radunati fuori dall’aula di giustizia per chiedere la sua assoluzione.

Al quotidiano Libération, nel 2019, la donna ha raccontato che gridavano “Marie-Claire libera! Abbiamo abortito tutte!”, ma all’epoca non era riuscita a sentirli perché «il giudice, un uomo enorme, chiuse tutte le finestre in modo che non entrasse rumore». Se ne rese conto solo anni dopo, riguardando il processo.

Anche due giorni prima, riporta il quotidiano Le Monde centinaia di persone avevano manifestato pacificamente nel quartiere Opéra di Parigi, dove sorge uno dei teatri più grandi del mondo.

Nel 1972 interviene la polizia, vengono arrestate 54 persone, ma la lotta non si ferma, anzi, si rinforza. L’opinione pubblica si schiera dalla parte di quella ragazza di sedici anni che rischia il carcere per aver abortito dopo uno stupro.

Anche chi l’ha portata in tribunale è ancora adolescente e teme la prigione: il ragazzo che l’ha violentata è stato arrestato per furto d’auto, ma qualcuno gli consiglia di tirare fuori questa storia per evitare l’accusa. Per sua sfortuna, però, una delle più famose avvocate e femministe francesi decide di rappresentare Chevalier: Gisèle Halimi. Ha appena fondato un’organizzazione per i diritti delle donne insieme all’autrice e filosofa Simone de Beauviour, Choisir La Cause des Femmes, e riesce a trasformare il processo in un vero e proprio caso politico.

Alle 12:30 arriva il verdetto: Chevalier è innocente e viene rilasciata per essere stata vittima di “costrizioni morali, sociali e familiari a cui non ha potuto resistere”. E infatti sua madre, che l’ha aiutata ad abortire, è ancora accusata di complicità insieme a due colleghe e alla responsabile dell’intervento clandestino: l’8 novembre Gisèle Halimi difenderà anche Madame Chevalier.

La lunga lista di testimoni della difesa, tra cui il premio Nobel per la medicina Jacques Monod, le attrici Delphine Seyrig e Françoise Fabian, e la stessa Simone de Beauvoir, darà ancora più rilevanza al dibattito. Si unirà al coro anche Simone Veil, l’allora ministra della Salute francese che diventerà la prima donna presidente del Parlamento europeo nel 2008.

«Questa legge arcaica non può sopravvivere. È contraria alla libertà delle donne», dirà Halimi. Chiederà «coraggio» al presidente del tribunale, Joseph Casanova. E il 22 novembre arriverà una condanna, sì, ma con sospensione della pena: il pubblico ministero farà poi scadere il termine di prescrizione e verranno tutti assolti. Da quel momento in poi l’eco del processo Bobigny risuonerà anche nei misteri dell’Assemblea Nazionale dove l’interruzione volontaria di gravidanza verrà definitivamente depenalizzata il 17 gennaio 1975.

Da allora le donne, anche minorenni, dietro consenso dei genitori, hanno potuto abortire fino a 10 settimane (poi estese a 12). La passerella di metallo blu di fronte alla Corte di Bobigny porta ancora il nome di chi ha permesso tutto questo, accettando l’esposizione pubblica e le sue conseguenze: Marie-Claire Chevalier.

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