Ambiente

Siamo già inquinati, ancor prima di nascere

Secondo il nuovo studio del Lancet Planetary Health particelle di smog sono state rintracciate negli organi di diversi feti. Un problema riscontrato anche in Stati con un tasso di inquinamento atmosferico basso
Credit: THE ENQUIRER/KEITH BIERYGOLICK
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10 ottobre 2022 Aggiornato alle 14:20

Nemmeno il tempo di iniziare a respirare e il nostro corpo porta già i segni dell’inquinamento atmosferico: tracce di particelle legate allo smog sono state trovate nei polmoni, nel fegato e nel cervello di feti, racconta una ricerca condotta da un team internazionale di scienziati di Università di Regno Unito e Belgio.

Segnali, sostengono i ricercatori, di qualcosa di molto preoccupante, dato che il periodo di gestazione è fra le fasi più vulnerabili dello sviluppo umano.

In ogni millimetro cubo di tessuto sono state trovate tracce di inquinanti, probabilmente inalate dalla madre durante la gravidanza e poi passate attraverso flusso sanguigno, placenta e sino al feto.

Si tratta di particelle di fuliggine legate alla combustione di combustibili fossili di veicoli, case, industrie. Ancor più preoccupante è il fatto che lo studio è stato condotto su alcune madri, non fumatrici, in aree della Scozia e del Belgio con un tasso di inquinamento atmosferico tutto sommato basso, ben lontano per esempio dalle grandi metropoli o da aree come la nostra Pianura Padana.

La nuova ricerca, pubblicata sulla rivista Lancet Planetary Health, ha rilevato inoltre che la concentrazione di particelle era maggiore quando la madre viveva con livelli di inquinamento atmosferico più elevati rispetto ad altri nello studio.

Nel dettaglio sono stati esaminati 36 feti da interruzioni volontarie di gravidanze (tra le sette e le venti settimane) in Scozia, mentre in Belgio sono stati prelevati campioni di sangue del cordone ombelicale dopo 60 nascite sane.

Altri studi, in passato, hanno dimostrato una correlazione fra aria inquinata e aborti spontanei, nascite premature, condizioni di sottopeso o sviluppo cerebrale problematico, ma difficilmente come in questo caso è stata fornita una prova diretta del collegamento fra condizioni degli organi ancor prima della nascita e particelle inquinanti.

«Abbiamo dimostrato per la prima volta che le nanoparticelle di fuliggine non solo entrano nella placenta del primo e del secondo trimestre, ma poi trovano anche la loro strada negli organi del feto in via di sviluppo - ha affermato per esempio il professor Paul Fowler, dell’Aberdeen University - Quello che è ancora più preoccupante è che queste particelle entrano anche nel cervello umano in via di sviluppo e ciò significa che è possibile che queste nanoparticelle interagiscano direttamente con i sistemi di controllo all’interno di organi e cellule fetali umani».

Per Tim Nawrot dell’Hasselt University «nella regolamentazione della qualità dell’aria si dovrebbe riconoscere questo trasferimento di inquinamento atmosferico durante la gestazione e bisognerebbe agire per proteggere le fasi più sensibili dello sviluppo umano», spiega sostenendo che ci vorrebbe maggiore attenzione da parte dei governi nel migliorare la qualità dell’aria.

Che le particelle inquinanti potessero arrivare alla placenta era stato dimostrato quattro anni fa dalla Queen Mary University di Londra ma ora il nuovo studio conferma che possono arrivare anche al feto e agli organi.

Il professor Jonathan Grigg, autore dello studio del 2018, spiega che la nuova ricerca è importante perché «vedere le particelle entrare nel cervello dei feti aumenta la posta in gioco, perché questo ha potenzialmente conseguenze per tutta la vita per il bambino. Un fattore preoccupante, ma non sappiamo ancora cosa succede quando le particelle si depositano in vari siti e rilasciano lentamente le loro sostanze chimiche», sostiene indicando ora la necessità di nuove analisi per approfondire quanto scoperto.

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