Futuro

Svante Pääbo, il Premio Nobel per la Medicina 2022

Il riconoscimento è andato al biologo svedese per la sua scoperta sui genomi di ominidi estinti e sull’evoluzione umana. Pääbo è stato il primo a svelare una sequenza genetica da un osso di 40.000 anni
Credit: Yale University
Tempo di lettura 5 min lettura
3 ottobre 2022 Aggiornato alle 15:50

Il premio Nobel per la Fisiologia o la Medicina 2022 è andato al biologo svedese Svante Pääbo “per le sue scoperte sui genomi degli ominidi estinti e l’evoluzione umana”. L’annuncio è stato dato come da tradizione al Karolinska Institutet di Stoccolma in Svezia. Anche quest’anno, il riconoscimento è pari a 10 milioni di corone svedesi, al cambio odierno circa 917.000 euro.

Una missione all’apparenza impossibile: sequenziare il genoma del Neanderthal, un parente estinto degli esseri umani di oggi. Non solo. Lo scienziato è anche autore di una sensazionale rivelazione, spiega l’Assemblea del Nobel al Karolinska Institutet di Stoccolma, che gli ha assegnato il premio: ha scoperto un ominide precedentemente sconosciuto, Denisova.

Pääbo è il papà della paleogenomica, ha dato origine a una disciplina scientifica completamente nuova e guardando dentro al codice della vita dei nostri antenati più remoti ha finito per raccontare all’uomo da dove veniamo.

Perché all’origine di tutto c’è proprio una migrazione. Pääbo ha capito che il trasferimento genico era avvenuto da questi ominidi ora estinti all’Homo sapiens in seguito alla migrazione dall’Africa circa 70.000 anni fa. Questo antico flusso di geni agli esseri umani di oggi ha rilevanza fisiologica nella contemporaneità, influenzando a esempio il modo in cui il nostro sistema immunitario reagisce alle infezioni. E proprio le sue scoperte, che rivelano le differenze genetiche che distinguono tutti gli esseri umani viventi dagli ominidi estinti, forniscono la base per esplorare ciò che ci rende unicamente umani.

Pääbo è stato il primo a svelare una sequenza genetica di un “parente estinto”, da un osso di 40.000 anni

All’inizio della sua carriera, lo scienziato rimase affascinato dalla possibilità di utilizzare metodi genetici moderni per studiare il Dna dei Neanderthal. Ma le sfide tecniche da affrontare erano estreme, perché con il tempo il Dna si modifica chimicamente e si degrada in brevi frammenti. Dopo migliaia di anni, sono rimaste solo tracce e ciò che rimane è massicciamente contaminato dal Dna di batteri e umani contemporanei.

Allora il giovane Pääbo, studente post-dottorato con Allan Wilson, pioniere nel campo della biologia evolutiva, iniziò sviluppare metodi per studiare il Dna dei Neanderthal.

L’impresa durò diversi decenni.

Nel 1990, Pääbo viene reclutato all’università di Monaco, dove continua il suo lavoro sul Dna arcaico e decide di analizzare il Dna mitocondriale di Neanderthal, quello degli organelli presenti nelle cellule è un genoma piccolo e contiene solo una frazione dell’informazione genetica nella cellula, ma è presente in migliaia di copie, aumentando le possibilità di successo.

Con metodi raffinati, Pääbo riesce a sequenziare una regione di Dna mitocondriale da un pezzo di osso di 40.000 anni.

Questa è la chiave che apre lo scrigno delle informazioni sugli antenati. Così, per la prima volta, si è riusciti ad accedere a una sequenza genetica di un ‘parente estinto’. E i confronti con umani e scimpanzé contemporanei hanno dimostrato che i Neanderthal erano geneticamente distinti.

Ma a Svante non bastava.

Le informazioni del genoma mitocondriale erano limitate.

Così comincia la sfida “enorme” di leggere il genoma nucleare di Neanderthal.

In questa fase che gli viene offerta la possibilità di fondare un Max Planck Institute a Lipsia, in Germania. Nel nuovo istituto, Pääbo e il suo team continuano a migliorare i loro metodi, con successo.

Pääbo potrebbe pubblicare la prima sequenza del genoma di Neanderthal nel 2010 e coi colleghi indaga sulla relazione con gli esseri umani moderni di diverse parti del mondo.

Analisi comparative mostrano che le sequenze dei Neanderthal erano più simili a quelle degli esseri umani contemporanei originari dell’Europa o dell’Asia che a quelli dell’Africa.

Significa che i Neanderthal e l’Homo sapiens si sono incrociati durante i millenni di convivenza. Nell’uomo moderno con discendenza europea o asiatica, circa l’1-4% del genoma proviene dai Neanderthal.

Dopo tutto questo, avviene ‘l’incontro del destino’ con l’uomo di Denisova: nel 2008 nella grotta di Denisova, parte meridionale della Siberia, viene scoperto un frammento di un osso di un dito di 40.000 anni fa. L’osso contiene Dna eccezionalmente ben conservato, il team di Pääbo lo sequenzia.

I risultati fanno scalpore: la sequenza era unica rispetto a quelle conosciute dei Neanderthal e degli esseri umani di oggi. Pääbo aveva scoperto un ominide precedentemente sconosciuto. Da lì cominciano una serie di confronti con cui gli scienziati seguono le tracce del flusso genico che si era verificato anche tra Denisova e Homo sapiens.

Questa relazione viene osservata per la prima volta nelle popolazioni della Melanesia e di altre parti del Sudest asiatico, dove gli individui portano fino al 6% di Dna Denisova.

Le scoperte di Pääbo hanno riscritto il nostro passato e generato una nuova comprensione della nostra storia evolutiva. All’epoca in cui l’Homo sapiens migrò fuori dall’Africa, almeno due popolazioni di ominidi estinte abitavano l’Eurasia. I Neanderthal vivevano nell’Eurasia occidentale, i Denisoviani popolavano le parti orientali del continente.

Durante l’espansione dell’Homo sapiens al di fuori dell’Africa e la migrazione verso Est, non solo incontrò e si incrociò coi Neanderthal, ma anche con i Denisoviani. Grazie alle scoperte di Pääbo, ora comprendiamo che le sequenze geniche arcaiche dei nostri parenti estinti influenzano la fisiologia degli esseri umani di oggi. Un esempio è la versione denisoviana del gene Epas1, che conferisce un vantaggio per la sopravvivenza in alta quota ed è comune tra i tibetani di oggi.

Altri esempi sono i geni di Neanderthal che influenzano la nostra risposta immunitaria a diversi tipi di infezioni. L’intensa ricerca scaturita dalle scoperte di Pääbo va avanti, con l’obiettivo finale di spiegare ciò che ci rende unicamente umani.

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