Diritti

Hong Kong: processato il cardinale che sostiene la democrazia

Classe 1932, Joseph Zen è uno dei religiosi cattolici più anziani dell’Asia. Da sempre è critico del partito comunista cinese. Tremano le relazioni tra Pechino e il Vaticano
Joseph Zen arriva al West Kowloon Court Buildings di Hong Kong nel 2021
Joseph Zen arriva al West Kowloon Court Buildings di Hong Kong nel 2021 Credit: EPA/JEROME FAVRE
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
26 settembre 2022 Aggiornato alle 20:00

È arrivato alla corte di West Kowloon, nella zona occidentale di Hong Kong, appoggiandosi a un bastone da passeggio. Il cardinale Joseph Zen, classe 1932, è stato processato insieme ad altri 5 attivisti pro-democrazia per il ruolo avuto in un fondo istituito a giugno del 2019 a supporto dei manifestanti arrestati durante le proteste scoppiate nella regione amministrativa speciale cinese.

A 3 anni dalle contestazioni in nome della democrazia e del suffragio universale che si conclusero con migliaia di arresti e l’imposizione della legge sulla sicurezza nazionale, che secondo i critici è stata utilizzata per schiacciare il movimento di opposizione della città e paralizzare la società civile, gli attivisti non ancora gettati in prigione o andati in esilio sono sotto il mirino della giustizia locale. Il caso del novantenne Zen, uno dei religiosi cattolici più anziani dell’Asia, da sempre critico del partito comunista cinese al potere, ha riportato l’attenzione sulle relazioni tra Pechino e il Vaticano, che sembra evitare di esprimere giudizi sfavorevoli alla Cina sulla questione.

Lo racconta l’emittente statunitense Cnn: Zen, conosciuto come “la coscienza di Hong Kong”, è stato un importante sostenitore della democrazia, dei diritti umani e della libertà religiosa. Scappato insieme alla sua famiglia da Shanghai per sfuggire all’incombente dominio comunista, fu ordinato sacerdote nel 1961 e poi Vescovo di Hong Kong nel 2002, prima di ritirarsi nel 2009. Ha partecipato ad alcune delle proteste più importanti della città, incluso il “Movimento degli ombrelli” che chiedeva il suffragio universale nel 2014.

Il suo arresto risale a maggio, quando la polizia di sicurezza nazionale di Hong Kong lo prelevò insieme ad altri tre attivisti pro-democrazia. Tra questi la cantante Denise Ho, star internazionale del genere musicale Cantopop, e tra le prime celebrità locali a fare coming out una decina di anni fa, detenuta per per il suo ruolo di ex direttrice del sito di notizie indipendente Stand News, chiuso a dicembre del 2021 dalle autorità dell’ex colonia britannica.

Inizialmente l’accusa nei confronti dei quattro amministratori del 612 Humanitarian Relief Fund era di “collusione con forze straniere”, che prevede la pena dell’ergastolo. Poi, ai sensi della Societies Ordinance, legge che risale all’era coloniale, gli attivisti sono stati accusati di un reato minore, per non aver registrato il fondo che mirava a fornire sostegno finanziario e umanitario ai manifestanti arrestati. L’accusa comporta una multa fino a 10.000 dollari di Hong Kong, pari a circa 1.322 euro, ma non il carcere. Tutti gli imputati si sono dichiarati non colpevoli.

Il fondo, non più attivo a seguito di un’indagine della polizia di sicurezza nazionale nel 2021, ha raccolto più di 35 milioni di euro di donazioni, con oltre 100.000 depositi. Oltre a fornire sostegno economico ai manifestanti, il fondo è stato utilizzato anche per sponsorizzare manifestazioni a favore della democrazia come il pagamento di apparecchiature audio.

Il Vaticano, spiega la Cnn, non si è pronunciato molto sul caso Zen, escludendo una dichiarazione condivisa a maggio, dopo il suo arresto, in cui esprimeva “preoccupazione”. Durante un volo di ritorno dal Kazakistan a settembre, in risposta a un giornalista che chiedeva se il processo potesse considerarsi una violazione della libertà religiosa, papa Francesco aveva sottolineato il suo sostegno alla “via del dialogo” e l’importanza di rispettare “la mentalità cinese”.

Nel frattempo, il Vaticano si prepara a rinnovare un controverso accordo raggiunto con Pechino nel 2018 in cui aveva riconosciuto la legittimità di sette vescovi nominati dal governo cinese. All’epoca la Cina stava raddoppiando la repressione dei gruppi cristiani clandestini come previsto da una campagna del leader Xi Jinping per portare la religione sotto il controllo assoluto del Partito Comunista. In quell’occasione Zen aveva criticato l’accordo, definendolo un “incredibile tradimento” e accusando il Vaticano di “dare il gregge in bocca ai lupi”.

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