Culture

Addio a Edward O. Wilson, il padre della sociobiologia

Docente nella prestigiosa cattedra di Harvard per oltre 46 anni, nell’arco della sua carriera ha ricevuto tantissimi riconoscimenti
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6 gennaio 2022 Aggiornato alle 20:00

Biologo rivoluzionario e in parte anche contestato, per quasi mezzo secolo docente a Harvard. E negli ultimi anni, convinto sostenitore e attivista della causa della biodiversità

Con la fine del 2021, abbiamo dovuto piangere la scomparsa di uno dei più biologi più importanti – e in alcuni momenti anche controversi – dal secondo dopoguerra a oggi. Lo scorso 26 dicembre, infatti, è venuto a mancare il biologo americano Edward O. Wilson: “il padre della sociobiologia” o anche “il padre della biodiversità” come è stato spesso definito, a testimonianza dell’enorme impatto che la sua attività ha esercitato sulle scienze naturali. Il faro che lo ha sempre guidato è stato quello di un “umanismo scientifico”, da lui stesso definito come l’unica maniera per analizzare il mondo incrociando le conoscenze scientifiche sempre crescenti dell’uomo con le leggi della natura.

Docente nella prestigiosa cattedra di Harvard per oltre 46 anni, nell’arco della sua carriera ha ricevuto tantissimi riconoscimenti, fra cui due premi Pulitzer: il primo per “On Human Nature”, uscito nel 1979, il secondo per “The Ants”, monumentale saggio scritto assieme a Bert Hõlldobber che partendo dall’analisi approfondita del comportamento delle formiche e delle modalità di organizzazione collettiva arriva a conclusioni che toccano anche le specificità della razza umana, nelle modalità in cui si costruiscono le varie dinamiche sociali.

La passione per le formiche e per lo studio dei loro mondi accompagna Wilson fin dall’infanzia, da quando – per un banale incidente di pesca – perse parzialmente la vista concentrandosi così sullo studio di tutto ciò che si muoveva “a terra”. Del resto, la separazione dei genitori lo portò ad appassionarsi in maniera viscerale allo studio delle scienze naturali, diventando per lui un’autentica, felice ossessione. E guadagnando a noi tutti uno scienziato di enorme spessore.

L’approccio che lo ha reso uno studioso di fama mondiale è quello appunto che combina scienze naturali e scienze sociali (da questo deriva anche una delle sue frasi più famose “Karl Marx aveva ragione, il socialismo funziona – ha solo sbagliato nel pensare di applicarlo agli uomini, che non sono particolarmente portati a esso al contrario di altre specie animali”), approccio che gli ha dato fama e onori ma al tempo stesso attirato anche critiche e contestazioni per un eccesso di determinismo (una delle sue più fiere avversarie scientifiche, Deborah Gordon, contestò a esempio proprio dal punto dal vista fattuale e biologico le sue analisi su alcuni comportamenti del regno animale, analisi che lo portavano poi a elaborare le sue osservazioni sui comportamenti “sociali” di uomini e animali, e sulla loro diversa efficacia).

In quella che si può considerare la seconda fase della sua carriera, a partire più o meno dagli anni ’80, si appassionò tantissimo alla causa della biodiversità (già nel suo cuore comunque fin dai primi anni di carriera, come dimostra la fondamentale pubblicazione redatta nel 1967 assieme a Robert MacArthur “The Theory Of Island Biogeography”, dove intrecciava in modo fino ad allora inedito biologia e geografia). Iniziò a viaggiare tantissimo e a essere una voce molto rumorosa e autorevole a protezione della conservazione delle specie sul pianeta. È del 2016 la pubblicazione “Half Earth: Our Planet’s Fight For Life”, lodatissima dal punto di vista scientifico, in cui arriva a postulare che l’unico modo per evitare una progressiva estinzione di massa della forme di vita sulla Terra è lasciare quest’ultima disabitata e incontaminata almeno per metà.