Futuro

Spiegone Web 3.0

2.0 bye bye: è il momento di esplorare la nuova frontiera di internet. Cosa cambia davvero?
Credit: Simone daino/unsplash
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28 settembre 2022 Aggiornato alle 07:00

Avevamo finalmente iniziato a familiarizzare con la definizione di web 2.0, ovvero il web dei social e della partecipazione di tutti alle conversazioni online. Cominciavamo ad avere chiara la mappa del continente internet. Ma è molto probabile che dovremmo rimettere presto in discussione le nostre certezze. Oggi sta arrivando il web 3.0, che scombina tutto quello che pensavamo di sapere. Ma di cosa si tratta?

Non c’è una definizione precisa. Per il momento il web 3.0 è una costellazione di app, siti, imprenditori, teorici, attivisti e investitori che ruotano intorno a due tematiche principali: la decentralizzazione tecnologica e il web semantico.

Sono queste le due anime del web 3.0. Ma andiamo per ordine. Cosa si intende per decentralizzazione?

La decentralizzazione consiste nel redistribuire risorse, tecnologia e decisioni dal centro alla periferia. Gli esempi tipici di decentralizzazione sono blockchain e criptovalute. La blockchain è una tecnologia che permette di creare servizi e applicazioni su server distribuiti di proprietà degli utenti, invece che su server centralizzati e privati delle organizzazioni.

Le criptovalute - come Bitcoin ed Ethereum - sono invece valute che vengono regolamentate dalle community senza bisogno di intermediari finanziari come le banche centrali (es. BCE).

Il bisogno di decentralizzazione nasce dai grandi problemi che oggi affliggono il web. Anni di utopia internettiana ci hanno portato a credere che sul web ci sia più libertà che nel mondo “offline”. E così ci è passato sotto il naso il fatto che due sole aziende sostanzialmente decidono il destino della rete e di ciò che vi accade all’interno.

Le due aziende ovviamente sono Alphabet e Meta (Google e Facebook) e gestiscono tramite algoritmi, quantità straordinarie di dati e intelligenza artificiale tutte le informazioni che circolano tra e per le persone. Non solo. Gli stessi contenuti che pubblichiamo sui social sono in fin dei conti di proprietà delle aziende e non degli utenti.

Questi temi nel corso degli anni hanno dato origine a un movimento che si propone di bilanciare in modo più equo i rapporti di forza tra corporation e utenti, e sviluppa servizi innovativi attraverso tecnologie decentralizzate.

Sono così nate le DAO, che permettono alle community di organizzarsi autonomamente; gli NFT che permettono agli artisti di avere un maggiore controllo sulla proprietà intellettuale dei propri contenuti; i token che permettono di creare diritti di proprietà e fare scambi su prodotti e servizi in rete, direttamente e senza bisogno di intermediari finanziari o burocratici, e dunque senza notai, commercialisti e avvocati.

Il web 3.0 decentralizzato è ancora utilizzato da un numero limitato di persone: i servizi più diffusi hanno qualche milione di utenti, contro i miliardi del web 2.0. Ma la tendenza alla crescita è costante e stanno nascendo altri servizi di questo tipo, molti facili da usare, che promettono di diventare popolari nei prossimi anni, rimpiazzando o integrando l’attuale offerta del web 2.0.

Anche gli investitori si stanno convertendo al web 3.0. È il caso per esempio di Andreessen Horowitz, uno dei fondi di venture capital più importanti degli Stati Uniti, che da alcuni anni investe solo in startup che operano nel web 3.0. La decentralizzazione del resto non implica una fuoriuscita dal mondo profit e dalle logiche capitalistiche, ma certamente si propone, almeno sul piano teorico, una più equa distribuzione di risorse tecnologiche, finanziarie e commerciali. Sulla decentralizzazione c’è dunque il via libera del venture capital e della finanza più lungimirante americana ed europea.

L’altro grande tema del web 3.0 è la trasformazione semantica. Il pioniere di questa trasformazione è Tim Berners-Lee, colui che è riconosciuto universalmente come l’inventore di internet. Secondo lui il più grande problema dell’internet di oggi è la frammentarietà e non controllabilità dei contenuti. Ognuno può creare un sito, pubblicare contenuti, postare una notizia, condividere un’informazione. Questo è certamente il bello della rete. Il primo passo verso un vero pluralismo. Ma anche la fonte di fake news, teorie assurde e polarizzazione sociale verso le posizioni più estreme.

L’idea di Berners-Lee e di tantissimi altri attivisti e teorici della rete è che per superare questa polverizzazione dei contenuti non si debba andare verso la censura - ovvero tornare indietro - ma piuttosto sviluppare nuovi linguaggi di programmazione che rendono i contenuti interpretabili dai software e dagli algoritmi. Una delle sue idee è quella di Linked Data. Il progetto si prefigge di rendere omogenei tutti i dati numerici che vengono pubblicati in rete al fine di consentire la loro corretta interpretazione ai software.

Le applicazioni pratiche dei Linked Data sono immense. Si pensi alle informazioni scientifiche e mediche: oggi la maggior parte dei dati vengono pubblicati in modo sintetico e parziale. Se questi venissero pubblicati in modo integrale e “formattati” con i principi dei Linked Data, sarebbe possibile analizzarli, confrontandoli tra loro e incrociando fonti differenti.

Pensiamo al tema del Covid e dei vaccini e a quanto l’opinione pubblica era - ed è - spaccata su ogni singolo argomento. Grazie ai Linked Data tutti i dati scientifici sull’argomento Covid sarebbero disponibili per chiunque e soprattutto sarebbero confrontabili tra loro e visualizzabili in un’infinità di modi.

Oggi i dati sono presenti all’interno di specifici silos che non comunicano tra loro. Le aziende hanno i propri dati, le banche dati scientifiche hanno i loro. I singoli scienziati possiedono altri dati ancora. Tutti questi non vengono pubblicati in modo integrale e anche quando sono pubblici non sono strutturati in maniera omogenea, rendendone impossibile il confronto.

Il web semantico ha l’obiettivo di aumentare il valore delle informazioni del web e di ridurre il rumore infinito di fake news e informazioni fasulle, attraverso una logica che non è però quella della censura e di decisioni arbitrarie prese dall’alto da qualche autocertificata èlite di fact checker, ma quella di nuovi linguaggi di programmazione.

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