Ambiente

Giuliano Granato: «Per la transizione ecologica pensare a una diversa mobilità è la chiave»

Abbiamo chiesto ai diversi schieramenti politici le iniziative a tema ambientale sulle quali investirebbero nei prossimi 5 anni. Diamo uno sguardo alle idee di Potere al Popolo
Credit: Via orticalab.it
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22 settembre 2022 Aggiornato alle 08:00

Tra i partiti che parteciperanno alla tornata elettorale del 25 settembre c’è anche Unione Popolare, formazione che fonde Potere al Popolo, Rifondazione Comunista e ManifestA.

Queste le idee e azioni concrete che servirebbero per affrontare la crisi climatica ed energetica, secondo il portavoce nazionale di Potere al Popolo, Giuliano Granato.

Quali azioni per rendere il Paese energeticamente più indipendente?

Cent’anni fa un tale parlava della necessità di avere Soviet ed elettrificazione, noi per muoverci verso l’indipendenza energetica abbiamo bisogno più prosaicamente di rinnovabili ed elettrificazione.

L’Italia soffre oggi di una dipendenza energetica pari al 77%, piazzandosi in testa a questa speciale classifica europea. Per avviare una strategia che miri contemporaneamente all’indipendenza energetica e alla decarbonizzazione, la strada da seguire inizia dallo stop ai nuovi impianti di estrazione di gas, carbone, petrolio e dalla spinta sulle energie rinnovabili.

Quali azioni intendete proporre per accelerare la riqualificazione energetica spinta del patrimonio edilizio anche per le fasce povere della popolazione; quali misure per ridurre la dipendenza dal metano e passare alle pompe di calore?

Il patrimonio edilizio è la prima fonte di consumo di energia nel nostro Paese e l’efficientamento energetico è dunque priorità. Col Superbonus 110% però non si è affrontato il problema, visto che la misura ha previsto 30 miliardi di investimenti di soldi pubblici serviti a finanziare 170.000 interventi, pari all’1% del patrimonio di abitazioni monofamiliari e di condomini.

Un intervento simile servirebbe eccome, ma non si capisce perché non si possa partire dal patrimonio pubblico, in primis le case popolari. Oggi ce ne sono decine di migliaia sfitte perché in condizioni fatiscenti e riqualificandole potrebbero essere messe di nuovo a disposizione di chi ne ha bisogno. E nell’ottica della riqualificazione, perché non si può pensare a un efficientamento energetico? Allo stesso modo bisognerebbe agire su scuole, ospedali, edifici pubblici.

Siete d’accordo con il target del 72% di rinnovabili elettriche al 2030 proposto dal Governo Draghi? Quali iniziative sul fronte autorizzativo per sbloccare la corsa delle rinnovabili elettriche ferme al 38% dei consumi dal 2014?

Il target fissato dal Governo è tranquillamente raggiungibile se c’è la volontà politica e ciò significa farla finita coi rapporti che legano i partiti ai portatori di interesse del settore del fossile e decidersi finalmente a una svolta rapida.

Il paradosso italiano è quello di un Paese per tanti versi “naturalmente” incline alla produzione di rinnovabili, dove però troppo è fermo. Esistono già progetti per la produzione ma sono bloccati, spesso per l’assenza di decreti attuativi. Stessa storia, con continui rimpalli di responsabilità tra diversi livelli istituzionali, per i parchi eolici off-shore.

Mancano anche i decreti attuativi che permetterebbero ai Comuni di utilizzare 2 miliardi di euro già stanziati per l’introduzione delle Comunità Energetiche, altro strumento verso l’indipendenza energetica, dal momento che permetterebbe l’autoproduzione, riducendo anche la centralità di infrastrutture di trasporto dell’energia che comportano la dispersione di parte di quella prodotta.

Pensate sia utile tornare a investire sul nucleare e con quali obiettivi temporali?

No. Il nucleare non è la soluzione. E non solo perché dovremmo una buona volta imparare a rispettare la volontà popolare espressa con chiarezza nel 1987 e nel 2011 in occasione dei due referendum sul tema.

I tempi di sviluppo di un nucleare che sappia superare le tradizionali criticità sono di là da venire o, laddove in astratto ci possano essere soluzioni, a esempio nel campo dello smaltimento delle scorie, i costi sono così alti da non rendere l’investimento fattibile.

I rischi legati a questo tipo di tecnologia, inoltre, non sono pari a zero e l’incidente di Fukushima del 2011 è particolarmente significativo perché anche se non si contarono morti, il Giappone impiegherà decenni per sistemare la zona e per affrontare i danni occorreranno centinaia di miliardi.

Siete favorevoli all’obiettivo Ue di vietare la vendita di nuove auto a benzina e diesel dal 2035? Quali iniziative per favorire la nostra industria della componentistica auto per convertirsi verso i nuovi scenari elettrici? Cosa farete per accelerare la diffusione della mobilità elettrica, infrastrutture di ricarica, incentivi? Quali obiettivi di potenziamento delle piste ciclabili?

Si tratta di un obiettivo che chiama in causa una visione strategica e complessiva. La motivazione di chi rifiuta il divieto di vendita di nuove auto a benzina e diesel, ovvero i costi sociali, non è campata in aria, visto che sono già tante le imprese che hanno dichiarato che si vedono “costrette” a licenziare o, peggio, chiudere per magari spostare la produzione altrove. Il Governo dei migliori in merito non ha fatto nulla tranne i soliti incentivi all’acquisto, che non risolvono affatto il problema ma permettono esclusivamente di mettere denaro nelle tasche delle imprese.

Eppure se vogliamo affrontare davvero la transizione ecologica, il tema di una diversa mobilità è chiave. I passaggi che proponiamo partono da uno spostamento dell’asse dal trasporto privato individuale verso un trasporto pubblico collettivo. In Italia abbiamo un’impresa, la Industria Italiana Autobus (Iia), frutto della fusione tra Ex Irisbus di Flumeri (Av) e BredaMenarini di Bologna, che già oggi produce autobus e in cui è direttamente coinvolto lo Stato, attraverso la sua finanziaria principe, Invitalia, che accompagna un socio privato, il turco Karsan. Oggi si corre il rischio che Iia divenga l’ennesimo carrozzone ma non possiamo permettercelo. Dovremmo anzi farne il perno di una nuova mobilità sostenibile che, in accordo con le università e le piccole e medie imprese della componentistica, possa essere vettore di nuovi posti di lavoro, tecnologie avanzate e pulite e un ripensamento del trasporto pubblico locale.

Inoltre, anche se il settore automotive potrebbe trovare conveniente ridimensionare, chiudere o andar via, la soluzione non sta in ulteriori incentivi a imprese che hanno già mostrato di non essere interessate ad altro che ai propri bilanci. E laddove non arriva il privato deve arrivare lo Stato perché non è pensabile lasciare che Bosch a Bari o Stellantis a Pratola Serre (Av) licenzino o chiudano. Serve affrontare da subito il cambiamento delle linee di produzione, la formazione per i dipendenti e ragionare sulla possibile conversione di ciò che esce da qulle fabbriche. Se cambiano i bisogni della società è giusto che la produzione si adatti sacrificando i profitti e non le vite di chi lavora.

Infine, una nuova mobilità sostenibile non può prescindere da spazi e percorsi pedonali e ciclabili. Nelle città servirebbe introdurre le “zone 20” che limitino la velocità degli autoveicoli, allargare le aree inibite al traffico e rafforzare il trasporto pubblico locale, sancendone anche la gratuità, il vero incentivo di cui abbiamo bisogno.

Quali politiche per consentire un rilancio della manifattura nel settore del solare, dell’eolico, delle batterie, di auto e bus elettrici, di elettrolizzatori per la produzione di idrogeno?

A oggi in Italia il 60% dell’energia elettrica e circa l’80% dell’energia totale è prodotta da fonti non rinnovabili, eppure il potenziale sarebbe enorme, soprattutto in termini di energia solare ed eolica. Su quest’ultima il nostro Paese è il secondo produttore europeo, ma produciamo solo un terzo dell’eolico della Germania. E se indaghiamo la produzione pro-capite, ci rendiamo conto che siamo solo al decimo posto, avendo davanti 8 Paesi su 9 con un minor potenziale del nostro.

Le possibilità ci sarebbero eccome, a mancare in molti casi è la volontà.

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