Ambiente

Agricoltura, una priorità italiana inascoltata

Ferma al palo nella sfida su biodiversità e decarbonizzazione, stenta ad abbracciare la transizione ecologica. Non a caso, gran parte dell’agrobuisiness made in Italy è tutto tranne che sostenibile, circolare o resiliente
Credit: Vindemia Winery/Unsplash
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23 settembre 2022 Aggiornato alle 06:30

Il 2022 è stato un anno di grande tumulto intorno al tema dell’energia, instabilità che ha avuto l’unico pregio di riaprire una riflessione nazionale sulle rinnovabili e sulla necessità di accelerare sull’efficientamento energetico. Il 2023 dovrà invece essere un anno fondamentale per ripensare la nostra sicurezza alimentare e tutela del territorio lavorando sull’agricoltura italiana e i food system nostrani, tema da troppi anni fuori da qualsiasi discussione politica nazionale degna di nota.

L’estate 2022 ha confermato trend in evoluzione da anni: aumento delle temperature medie, crescita della desertificazione, siccità diffusa prolungata anche al Settentrione. Fenomeni che il sistema agricolo nostrano non ha saputo affrontare pienamente. Fermo al palo nella sfida sulla biodiversità (che prenderà il palco centrale a dicembre con il nuovo accordo della Convenzione della Biodiversità da siglare a Montreal) e sulla decarbonizzazione, il settore primario della nostra economia stenta ad abbracciare la transizione ecologica.

Sebbene ci sia un certo fermento, specie nelle giovani aziende agricole, che sono nativamente sostenibili e circolari, e nel settore vitivinicolo (vivacissimo con il rinascimento dei vini naturali), la grande agricoltura, specie in pianura Padana, non da segnali di cambiamento.

Uso irrazionale di erbicidi e fitofarmaci, abuso di fertilizzanti, tecniche agricole lontanissime da essere 4.0 (salvo poi lamentarsi per la poca acqua irrigua), gestione novecentesca del suolo, nessuna applicazione dei concetti di rigenerativo o biologico. Nonostante cresca il bio, la gran parte dell’agrobuisiness made in Italy è tutto tranne che sostenibile, circolare o resiliente.

Per la politica è tempo di riprendere la zappa. Anche se le premesse, a due giorni dal voto, sono pessime. «Quasi tutti i programmi elettorali dei partiti e movimenti politici affrontano il tema della sostenibilità ambientale, economica e sociale del settore primario con una sconcertante superficialità, ignorando le sfide della transizione ecologica che il Green Deal europeo impone oggi al nostro Paese», sottolineano le associazioni della coalizione #CambiamoAgricoltura. «Nonostante una terribile stagione, abbia reso evidente la vulnerabilità del settore primario agli effetti del cambiamento climatico e la sua dipendenza da sistemi naturali sani e resilienti, i temi della sostenibilità dell’agricoltura e della zootecnia non sono mai entrati nel dibattito elettorale con la necessaria attenzione».

Sul piatto per il prossimo ministero delle Politiche agricole, che prenderà il posto di Stefano Patuanelli, ci sarà la radicale trasformazione delle filiere agro-alimentari per una loro maggiore sostenibilità, abbracciando la Pac, strutturando un Piano Strategico Nazionale 2023-27 richiesto dall’Europa.

Abbiamo obiettivi chiari per i prossimi cinque anni: riduzione del 62% dell’uso dei pesticidi e del 20% dei fertilizzanti chimici in agricoltura, la riduzione del 50% degli antibiotici negli allevamenti; garantendo al contempo l’aumento al 25% entro il 2027 delle superfici agricole utilizzate certificate in biologico e l’obiettivo del 10% delle aree naturali all’interno delle aziende agricole come indicato dalle Strategie Ue e nazionale per la biodiversità. Non solo: servirà garantire il 30% delle aree del paese come aree protette, da integrarsi però anche con filiere produttive, dal settore ittico agli allevamenti sostenibili, come verrà richiesto dal nuovo piano 2030 sulla Biodiversità.

Vanno definitivamente fermate le deroghe alle norme ambientali della condizionalità della Pac 2023-2027, dopo quelle già concesse dalla Commissione Ue.

Va sostenuta l’approvazione della proposta di Regolamento Ue sul ripristino della natura.

Tanti cittadini da destra a sinistra poi chiedono una importante ristrutturazione delle filiere zootecniche a livello nazionale, ponendo l’obiettivo della riduzione del numero degli animali allevati. Vanno definite e attuate misure volte al recupero e all’utilizzo dei pascoli in modo sostenibile e l’adozione a livello nazionale di misure che incentivino la transizione a sistemi di allevamento senza gabbie e una riforma dell’etichettatura sul benessere animale.

Infine, entro il 2030, il consumo di antibiotici negli allevamenti zootecnici va ridotto del 50% rispetto al 2020. Obiettivi non semplici, per un settore che ha margini ridotti e una domanda che chiede prezzi sempre più bassi e che necessità un supporto anche dai consumatori oltre che dalla politica. Anche riducendo o eliminando i consumi di carne.

Da non trascurare il tema della rigenerazione del suolo, ultimamente diventato centrale per grandi aziende, da Illy a Davines. Qua bisogna ridurre della metà le perdite di nutrienti attraverso nuove tecniche di coltivazione, dalle rotazioni dei legumi alla riduzione delle lavorazioni con macchinari pesanti alla reintroduzione di specie animali nei campi coltivati. Obbligatoria poi la riduzione ai fertilizzanti di sintesi di almeno il 20% entro il 2030.

Chiudiamo con l’ultimo punto centrale che abbiamo discusso ampliamente sulle pagine digitali de La Svolta: l’acqua. Serve che vengano triplicati gli sforzi delle opere proposte con il Pnrr e si lavori su pratiche colturali aumentino la capacità di assorbire le piogge e trattenere umidità e nutrienti oppure che richiedano quote d’acqua minori.

Serve potenziare i consorzi di bonifica e tecniche di irrigazione intelligente e agricoltura di precisione. Attuare il piano “laghetti” proposto da Ambi, l’Associazione dei consorzi di bonifica, per creare piccoli invasi collinari naturali diffusi, anche con il recupero delle aree di cava dismesse, da realizzarsi come prioritario per evitare situazioni siccitose nell’estate 2023.

Il cibo è la nostra cultura e uno dei nostri elementi identitari più forti. Siamo quello che mangiamo ma siamo anche quello che coltiviamo. Torniamo a essere orgogliosi allora del mondo alimentare, rendendolo più sostenibile, rigenerativo, sicuro e economicamente resiliente, diventando un modello planetario. Lo possiamo e lo sappiamo fare!