Ambiente

Perché i Paesi del G20 continuano a investire sulle fonti fossili?

Un’analisi di PwC, società di consulenza londinese, rivela che i tassi di decarbonizzazione delle economie più potenti del mondo sono crollati al livello più basso degli ultimi due decenni
Credit: Marcin Jozwiak/Unsplash
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27 settembre 2022 Aggiornato alle 07:00

La ricetta per il “detox” del Pianeta è chiara, eppure continuiamo a non seguirla.

Alluvioni devastanti e ondate di calore anche in questo 2022 hanno ucciso migliaia di persone nel mondo, la siccità tra carestie e fame sta mettendo in ginocchio interi popoli e piegando le economie, così come la mancanza di neve e risorse idriche è ormai evidente dall’Italia siano alla Cina.

Inoltre, il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, lo ripete come fosse un mantra: «La dipendenza globale dai combustibili fossili deve finire». Eppur le grandi potenze economiche del globo continuano ad andare in direzione ostinata e contraria.

Il conto, però, lo pagheremo tutti noi e soprattutto le future generazioni.

A fornirci il quadro del controsenso che abbiamo imboccato e insistiamo a percorrere è uno studio realizzato da PwC, la società di consulenza PricewaterhouseCoopers che ha sede a Londra.

Secondo il report le economie del G20, Paesi fondamentali per gli equilibri socio economici del mondo, stanno rallentando il ritmo della decarbonizzazione.

Anziché abbandonare le dipendenze dai combustibili fossili e navigare a testa bassa per un mondo di rinnovabili, continuano a puntare sulle fonti sbagliate: i tassi di decarbonizzazione delle economie G20 sono infatti crollati al livello più basso degli ultimi due decenni sostiene PwC, sottolineando come questo non sia all’altezza di quanto necessario per raggiungere l’obiettivo climatico mondiale.

“Nessun Paese del G20 si sta decarbonizzando abbastanza rapidamente da mantenere un clima sicuro”, si legge nell’indice PwC Net Zero Economy.

Se la decarbonizzazione a livello globale è scesa allo 0,5%, percentuale decisamente al di sotto del 12,9% necessario per mantenere l’aumento delle temperature in linea con la salvezza del Pianeta, nel G20 questa è arrivata ad appena lo 0,2%. Si tratta di un tasso allarmante, ricordano gli esperti, perché assolutamente insufficiente per rispettare gli obiettivi di riduzione fissati al 2030.

Il tasso medio globale di decarbonizzazione dovrebbe già ora raggiungere il 15,2% su base annua, ha rivelato l’analisi PwC, ovvero essere 11 volte più veloce di quello raggiunto dal 2000, ma ben nove delle economie del G20 (che insieme rappresentano circa l’80% delle emissioni globali legate all’energia) hanno invece aumentato la loro intensità di carbonio nel 2021.

Stati Uniti, India, Giappone, Germania, Francia hanno tutti registrato un aumento delle emissioni legate al fossile, mentre segnali positivi arrivano dalla Cina che ha ottenuto una riduzione del 2,8%, il Sudafrica con un calo del 4,6% e l’Australia del 3,3% .

Timide luci in un contesto di ombre che continua a preoccupare.

Per gli analisti che hanno redatto il rapporto infatti «le nazioni devono apportare cambiamenti radicali sia al loro mix energetico che al loro consumo energetico. Se falliamo, i costi di adattamento ai cambiamenti climatici continueranno ad aumentare. In poche parole, non abbiamo abbastanza tempo perché le scarse prestazioni di decarbonizzazione diventino la norma, indipendentemente dagli eventi imprevisti e dalla loro entità».

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