Ambiente

Simona Viola: «il nucleare non è una prospettiva realistica»

Dall’autonomia energetica fino alle rinnovabili, abbiamo chiesto ai diversi schieramenti politici le iniziative in tema ambientale su cui intendono investire nei prossimi 5 anni. Oggi è il turno di +Europa
Simona Viola (+Europa)
Simona Viola (+Europa)
Tempo di lettura 8 min lettura
19 settembre 2022 Aggiornato alle 13:00

Quali azioni per rendere il Paese energeticamente più indipendente?

Scinderei la risposta nelle due fasi di breve e medio termine.

Nel breve termine mi paiono imprescindibili un’immediata azione di promozione del risparmio energetico, più incisive azioni di semplificazione sulle rinnovabili, la diversificazione delle forniture e gli investimenti in capacità di rigassificazione con unità galleggianti, facilmente rimuovibili una volta che l’emergenza sarà alle spalle.

Sul medio e sul lungo termine occorre comunque, a prescindere dalla crisi e alla luce degli obiettivi di decarbonizzazione, progressivamente affrancarsi dalle fonti fossili: dunque gli investimenti sul gas devono tenere conto di questo orizzonte, evitando di alimentare sovra-investimenti.

Il medio termine si incentra su efficienza e poi rinnovabili, rinnovabili e ancora rinnovabili. È necessario reimpostare l’allocazione delle competenze (se necessario anche con una riforma costituzionale) e delle responsabilità, rafforzando il potere sostitutivo dello Stato su un disegno di mercato che tenga conto della loro nuova centralità nel sistema elettrico, fornendo agli investimenti una competitiva remunerazione stabile di lungo termine.

Al tempo stesso occorre la massima attenzione allo storage, che rappresenterà il perno attorno al quale le rinnovabili si svilupperanno e che, insieme all’idrogeno, rendono pensabili, seppur non nell’immediato, scenari non lontani dal 100% rinnovabili.

Sul lungo termine, tenere sempre gli occhi puntati sulla ricerca, tenendo anche conto che gli investimenti in rinnovabili che verranno realizzati nel frattempo hanno una vita tecnica limitata nel tempo e che dunque non comportano un lock-in tecnologico eccessivo.

L’insieme di queste azioni potrebbe venire opportunamente definito in un Piano strategico nazionale dell’energia e del clima che servirebbe a orientare gli operatori nelle loro scelte.

Infine la crisi ha dimostrato che anche in questo settore, come nella sanità e nella difesa, occorre +Europa: un commissario all’energia e il superamento del meccanismo della unanimità sarebbero di grande aiuto per consentire all’Europa di agire in modo rapido alle esigenze della crisi.

Quali azioni intendete proporre per accelerare la riqualificazione energetica spinta del patrimonio edilizio anche per le fasce povere della popolazione? Quali misure per ridurre la dipendenza dal metano e passare alle pompe di calore?

Partirei dal fatto che l’Italia è il 2° Paese col parco edilizio più inefficiente d’Europa.

Il meccanismo di detrazione fiscale con cessione del credito a terzi è certamente efficace ma è disegnato male.

Oggi la parte più rilevante degli incentivi è indirizzata alle ristrutturazioni generiche che godono del 50% di per sé di detrazione fiscale. Se si parte da questa base allora occorre incrementare l’incentivazione delle ristrutturazioni condizionate ai recuperi di efficienza energetica, a una soglia superiore al 50%.

L’ecobonus va riportato sotto la soglia del 110%, e dovrebbe essere indirizzato verso il raggiungimento di più di due classi di efficienza.

Occorre assicurarsi che non si reinvesta di nuovo in gas, sostituendo una caldaia a gas con un’altra; le caldaie vanno sostituite con le Fer o con le pompe di calore, per giungere alla elettrificazione delle case.

Diversi paesi europei hanno già fissato un termine entro cui elimineranno le caldaie a gas, noi non possiamo incentivarle.

Il superbonus deve poi differenziare per livello di reddito: il 110% ha un costo sociale troppo elevato, e chi ha più disponibilità dovrebbe essere indotto a raggiungere più efficienza, a installare tecnologie più innovative e godere di minori percentuali di incentivazione.

Uno stanziamento specifico andrebbe poi dedicato ai più bisognosi, alla edilizia e ai quartieri popolari (alla fine poi sono i bilanci dei Comuni a sostenere l’inefficienza energetica dell’edilizia popolare).

Infine il Superbonus dovrebbe durare nel tempo, e non essere confermato finanziaria per finanziaria: persone e imprese devono poterci contare per fare la loro programmazione, senza determinare le spinte inflazionistiche, su materiali e soluzioni, tipiche di quando si devono osservare soglie temporali ravvicinate.

Siete d’accordo con il target del 72% di rinnovabili elettriche al 2030 proposto dal Governo Draghi? Quali iniziative sul fronte autorizzativo per sbloccare la corsa delle rinnovabili elettriche ferme al 38% dei consumi dal 2014?

Non solo siamo d’accordo con il target ma soprattutto rivorremmo Draghi al governo del Paese.

Il tema delle semplificazioni andrebbe affrontato innanzitutto chiedendoci se l’attuale allocazione della competenza autorizzativa alle Regioni non vada ripensata, anche in termini costituzionali. A me pare che il modello della competenza al livello regionale abbia fallito, anche e soprattutto perché la attribuzione di competenza non è stata accompagnata da attribuzione di responsabilità: sulle Regioni che si rifiutano di autorizzare non ricade alcuna conseguenza né politica, né amministrativa né economica.

Occorrerebbe allora riformare l’art. V della Costituzione e nel frattempo (invece di perdere tempo coi piani delle aree idonee) potenziare il potere sostitutivo dello Stato, da attivare immediatamente sui singoli progetti, in caso di mancato superamento da parte delle regioni di soglie di burden sharing obbligatorie.

Oggi il più significativo interesse pubblico sotteso alla produzione di energia rinnovabile non è neppure più quello ambientale, ma è divenuto l’interesse nazionale alla autonomia energetica del Paese, anche in funzione della sua collocazione geopolitica: insomma una questione rilevantissima, di livello nazionale, che non viene (né potrebbe) neppure lambita nelle conferenze di servizi locali: un interesse insomma privo di adeguata tutela, mancando un’amministrazione pubblica di riferimento.

Pensate sia utile tornare a investire sul nucleare e con quali obiettivi temporali?

Fermo restando l’impegno a proseguire nella ricerca, peraltro mai interrotta in Italia, il nucleare non mi pare allo stato una prospettiva realistica.

Ha costi di generazione non competitivi rispetto alle rinnovabili, tempi di costruzione che lo rendono inutile sia al superamento della crisi attuale che al raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione. È una tecnologia rigida, quando il sistema richiede sempre più flessibilità. I suoi altissimi costi sono sopportabili solo da parte dello Stato, il che implicherebbe una nuova pubblicizzazione del settore elettrico. Il tema delle scorie è, allo stato, irrisolto e andrebbe lasciato alle prossime generazioni. Intraprendere quella strada implicherebbe, prima di tutto, affrontare il tema del superamento degli esiti referendari e individuare uno o più comuni per la localizzazione degli impianti e delle scorie. Peraltro i timori per quel che sta succedendo, in una situazione bellica, intorno alle centrali nucleari ucraine non dovrebbe indurre a parlarne con maggiore prudenza?

Siete favorevoli all’obiettivo Ue di vietare la vendita di nuove auto a benzina e diesel dal 2035?

Sì. Il mercato sta andando in quella direzione. Opporsi o rallentare significherebbe solo rischiare di rendere marginale la nostra economia.

Quali iniziative per favorire la nostra industria della componentistica auto per convertirsi verso i nuovi scenari elettrici?

Suggerirei di identificare le aziende adatte alla conversione e quelle meno adatte, e di introdurre politiche coerenti in termini di welfare, formazione e aiuti finanziari temporanei (non sussidi economici ad aziende senza prospettive di successo)

Cosa farete per accelerare la diffusione della mobilità elettrica, infrastrutture di ricarica, incentivi?

Pensiamo alla responsabilizzazione dei gestori delle reti elettriche urbane, con una remunerazione davvero legata alle performance di installazione delle nuove colonnine, all’aggiornamento del disegno del mercato energetico per favorire la flessibilità dei consumi, e a una politica fiscale di disincentivo ai combustibili fossili e all’uso delle auto private nei centri urbani.

Quali obiettivi di potenziamento delle piste ciclabili?

A fronte di notevoli investimenti in infrastrutture di mobilità pesante, il Pnrr non conferisce il ruolo che loro spetterebbe alle ciclabili e al ridisegno della città in favore di una mobilità leggera e più sostenibile rispetto a quella delle auto private.

Occorre fare molto di più, anche sull’interurbano, dove oggi le uniche infrastrutture usano ex sedi

ferroviarie e mai nuovi tracciati realizzati ad hoc.

Quali politiche per consentire un rilancio della manifattura nel settore del solare, dell’eolico, delle batterie, di auto e bus elettrici, di elettrolizzatori per la produzione di idrogeno?

Welfare e politiche industriali che aiutino la formazione, la conversione e l’incubazione di nuove aziende nei settori critici anziché iniezioni di denaro alle aziende senza più prospettive.

In generale fissarsi sui sogni autarchici è un errore: continueremo a importare componenti di macchine energetiche così come oggi importiamo quasi il 100% di quelle di un telefonino o di un pc e per questo non gridiamo allo scandalo. L’economia globale con le sue specializzazioni e interdipendenze ci ha resi più ricchi, non più poveri. La transizione ecologica non può e non deve implicare una transizione protezionistica.

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