Ambiente

Il consumo fossile non ci salverà

L’accumulo per estrazione dei combustibili ci rende sempre più poveri. E incentiva il degrado e la distruzione ambientale
Credit: Pixabay/Pexels
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18 settembre 2022 Aggiornato alle 06:30

Il fossile è una trappola concettuale. Ci rende poveri e noi nemmeno lo sappiamo.

La ricchezza di un Paese, resa nel calcolo delle sue risorse, si depaupera a ogni estrazione.

Poniamo il caso che esista un albero di taniche di benzina, quell’albero avrà certo un gran valore (1.7 al litro nel momento in cui scrivo).

Qualcuno se ne dichiarerà possessore, un qualcuno che avrà usato il senso della proprietà e del diritto per espropriare chi all’ombra di quell’albero ha sempre riposato, e inizierà a vendere le gravide taniche.

A ogni tanica venduta, i rami si tenderanno verso l’alto, più leggeri, così il valore della benzina apparirà ancora maggiore. Soprattutto visto che si tratta di una pianta a fioritura lenta, lentissima, millenaria e quindi inadatta al meccanismo di raccolta e consumo a breve termine.

Allora il prezzo salirà e intanto il proprietario espropriatore inizierà a cercare altri alberi. Perché quell’albero, per ogni aumento di prezzo, perde di valore.

Si impoverisce a ogni frutto venduto e da spoglio sarà lasciato a sé stesso.

Intanto, tutto intorno sarà stato costruito un recinto, magari un negozio e un sistema di sorveglianza.

La terra sarà stata battuta dal passaggio di acquirenti e avvelenata dalla distruzione di tutti quegli alberi che avevano l’ardire di produrre frutta commestibile ciclicamente.

La scarsità aumenta il valore monetario dei fossili, offrendo una panacea istantanea, infatti con il denaro si giustificano la rimozione e l’uso della materia, addirittura - e fino a oggi - il degrado e la distruzione ambientale, il deterioramento della salute della forza lavoro impiegata e di chi abita in prossimità dei luoghi di estrazione o raffinazione, la competizione e finanche l’accumulo di CO2 nel nome dei posti di lavoro generati. Siamo quindi in presenza, come specifica Piketty, di un reddito negativo, che impoverisce costantemente.

Il paradosso è assoluto, se con la promessa di lavori a basso reddito si giustifica la morte di massa e di specie, è evidente come le pratiche di accumulo abbiano comportato la perdita dell’istinto di sopravvivenza. Viviamo per consumare, ma siamo consumati a nostra volta per garantire l’accumulazione.

Il capitalismo è un sistema che si regge grazie all’enorme impiego di energia, specificatamente quella fossile.

L’uso di tali combustibili produce esternalità di cui ormai tutti siamo al corrente, ma che ancora non riusciamo a contrastare nemmeno ideologicamente.

Infatti, se continuano a guardare spauriti i livelli di CO2 senza smettere di frequentare lo shopping come fosse un compagno di vita, non risolveremo nulla.

Dopotutto appare logico, per ridurre lo spreco energetico derivato dalla produzione non necessaria di bene di consumo non bisogna più consumare e lasciare che l’energia sia impiegata in maniera fruttuosa per quegli ordini di necessità reali che nel Nord del mondo diamo per scontati, ma che sono a tutti gli effetti essenziali per garantire la dignità della vita in tutte le sue espressioni.

Il fossile è una tecnologia basata sulla morte, sulla penetrazione forzosa della Terra e l’estrazione di valore da essa con pratiche capaci di devastarne persino la stabilità geologica. Il paragone con l’accumulazione patriarcale è evidente e immediato, ma non sorprende. Il capitalismo è un sistema reso possibile dalla disuguaglianza, come pure il suo motore fossile.

Il rinnovabile, invece, per sua natura non rimuove qualcosa, ma si limita a convertire elementi presenti in abbondanza.

È a disposizione e basta indirizzarlo, prevede l’uso di tecnologie belle, pulite e solide.

Sarà romantico, ma è una tecnologia agilmente gestibile dal pubblico e ridistribuibile, presente in tutto il mondo in forme differenti non concentrate in bacini geograficamente ridotti - come nel caso dell’Artico, ormai considerato da Canada, Usa e Russia come il prossimo bacino estrattivo per minerali e petrolio - , ma disponibile in quantità e particolarità proprie dei territori e, per questo motivo, intrinsecamente capaci di legarsi a un approccio locale e localizzato.

Il rinnovabile e il suo uso per il necessario sono una prospettiva eccezionale per la vita sulla Terra, proprio perché rappresentano una rivoluzione strutturale.

Dopotutto, se un’energia buona (a ridotte esternalità negative) non è sufficiente ad alimentare le macchine del capitale e dell’iper-consumo è evidente che sono proprio questi gli elementi da lasciare al passato. Purtroppo, il realismo di sistema ci porta a ragionamento fatalisti e scelte suicide, capaci di deresponsabilizzarsi persino nei confronti delle altre persone, quelle 250.000 (secondo il Who, ma che arrivano a essere 5.000.000 secondo uno studio pubblicato su Lancet realizzato dalla Monash University), che perdono la vita a causa del cambiamento climatico ogni anno.

Indifferenza che cancella la realtà dei 21.3 milioni di migranti climatici riconosciuti dal Unchr e che si prospetta raggiungano il miliardo entro il 2050.

Quello che ci anima potremmo definirlo un istinto di conservazione inverso capace di farci acquistare uno spazzolino di bambù su Amazon prima di correre in corso Buenos Aires a compiere le lunghe vasche tra Zara, Muji, H&M e tutti gli altri, i sacchetti appesi come frutti maturi alle braccia gonfi dello sfruttamento delle persone in schiavitù - principalmente donne e bambini - del tessile, il telefono in mano e il naso arricciato nel leggere l’ennesimo articolo o post di una persona che chiede, pretende o spiega la necessità di una rivoluzione di sistema.

Quella conservazione è la sopravvivenza del sistema, non la nostra.

Noi siamo piccole entità suicide, intente a scartabellarci le menti per trovare frasi sagaci e ragionamenti a prova di bomba sulla ricchezza e i vantaggi del capitale.

E si badi, il capitale comporta incredibili vantaggi per chi abita nel Nord del mondo, è proprietario e non lavoratore, non dipende da un reddito mensile ed entro il 2050 sarà già morto.

Perciò ecco, parlare di rinnovabile è davvero un rinnovo dell’umanità, fin tanto che avremo l’onestà di ammettere che essa servirà bene un mondo non consumista in cui la redistribuzione sarà globale così come i flussi e gli scambi umani.

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