Ambiente

Elezioni Brasile: in gioco c’è la biodiversità

Il 2 ottobre sarà una giornata cruciale per il Paese (e il Pianeta): l’ecocida Bolsonaro VS Lula e le sue politiche anti-deforestazione. Possiamo solo che aspettare e sperare
Il presidente brasiliano Jair Bolsonaro mentre lasciava il Complexo Brasil 21 nel novembre 2021, dopo aver aderito al Partito Liberale per le elezioni 2022
Il presidente brasiliano Jair Bolsonaro mentre lasciava il Complexo Brasil 21 nel novembre 2021, dopo aver aderito al Partito Liberale per le elezioni 2022 Credit: EPA/Joedson Alves
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16 settembre 2022 Aggiornato alle 06:30

Una settimana dopo le elezioni italiane l’attenzione si rivolgerà al Brasile. Le elezioni del 2 ottobre per decidere chi occuperà il Palácio do Planalto hanno un’importanza fondamentale per la lotta planetaria per il clima e la biodiversità. In corsa ci sono il candidato conservatore e presidente uscente Jair Bolsonaro e l’ex presidente brasiliano, Luiz Inacio Lula da Silva del Partido dos Trabalhadores (PT), il Partito dei Lavoratori. I sondaggi al momento danno quasi 11 punti di vantaggio a Lula, ma non è esclusa una rimonta e l’uso di tattiche poco corrette da parte di Bolsonaro, certo avvezzo a scorrettezze politiche di ogni tipo.

Difficile che non si conosca il reazionario Bolsonaro: incendiario, populista, bigotto, l’ex parà dell’Exército Brasileiro e di antiche origini italiane, ha riportato il brasile indietro di 50 anni, distruggendo ogni sforzo per ridurre la deforestazione e spingere la grande nazione latina verso la transizione ecologica.

Da quando è diventato presidente del Brasile, nel 2019, la deforestazione amazzonica è cresciuta infatti del 75,6%, gli allarmi per gli incendi forestali sono aumentati del 24% e le emissioni di gas serra del Paese sudamericano sono risalite del 10%, record mondiale. Il report Dangerous man, dangerous deals, pubblicato da Greenpeace sostiene che il presidente in carica ha realizzato un “sistematico smantellamento della protezione dell’ambiente e dei diritti umani”. Omicidi di attivisti ambientali, carta bianca alla deforestazione, depotenziamento dell’IBAMA (Instituto Brasileiro do Meio Ambiente, l’agenzia ambientale brasiliana), mancata tutela delle comunità indigene, espansione dell’utilizzo di pesticidi, e via dicendo. Attraverso un disegno legislativo, finanziario e politico, Bolsonaro ha attivamente accelerato il collasso climatico globale, considerata l’importanza fondamentale che riveste la foresta amazzonica nella bilancia carbonica globale e nella sfida per tutelare la biodiversità.

Una devastazione che mette a rischio gli stessi brasiliani: da quando è entrato in carica sono stati approvati circa 1.500 nuovi pesticidi, un nuovo record. Molti dei consentiti e utilizzati in Brasile contengono principi attivi non ammessi nell’Ue e pericolosi per la salute umana e l’ambiente. a esempio, l’erbicida atrazina (bandito nell’Ue da oltre 15 anni a causa dei suoi effetti pericolosi sulle acque sotterranee) è ancora presente in oltre 70 prodotti commerciali in Brasile. E gli impatti sulla salute di tante cittadini e cittadine sono destinati a riverberarsi per anni.

Il semaforo verde per taglialegna, minatori e accaparratori di terre illegali ha portato poi a una spirale di violenza: con 20 omicidi registrati nel solo 2021, il Brasile è tutt’oggi uno dei Paesi più pericolosi per gli attivisti ambientali. E nonostante il lasseiz-faire per l’agrobusiness anarcocapitalista, che secondo Jair avrebbe dovuto rilanciare il Paese, la situazione economica del Brasile è crollata mese dopo mese, allontanando la potenza sudamericana dall’orbita occidentale e da tanti altri Paesi del continente che hanno preso le distanze dal Presidente ecocida.

L’aggettivo “ecocida” è dovuto. Se fosse esistito un tribunale internazionale sui diritti ambientali Bolsonaro, infatti, sarebbe stato facilmente condannato per ecocidio, il crimine di devastazione della natura, visto il numero e l’evidenza dei disastri commessi.

Per il momento i sondaggi lo danno in svantaggio. Una notizia che rassicura, ma da prendere con le pinze con cui si prendono i sondaggi. Inoltre la vittoria di Lula non è automaticamente garanzia che il Brasile sarà in grado di arrestare immediatamente la deforestazione, rallentare l’estrazione di petrolio e gas (è il Paese con i maggiori giacimenti oil&gas sudamericani), riformare l’agricoltura intensiva a elevata intensità di fertilizzanti e diserbanti.

Certo Lula ha dichiarato di voler nominare uno zar per il clima appena sarà confermato presidente e ha ribadito di proseguire con le politiche tolleranza zero sulla deforestazione del periodo 2003-2010. Ma con 12 milioni di disoccupati e un’economia a dir poco zoppicante, una parte del potente settore dell’agrobusiness brasiliano ostacolerà ogni riforma e tanti contadini continueranno con pratiche di taglio della legna illegali.

Difficilmente poi Lula interverrà nel settore petrolifero e minerario dove il suo partito ha grande appoggio, e che riveste (sempre secondo il suo partito) un ruolo necessario per la ripresa economica del Paese. Per l’ex ministra dell’ambiente di Lula, Izabella Teixeira, serviranno poi mesi per ripristinare sia i finanziamenti che le infrastrutture di due agenzie chiave: l’IBAMA, l’agenzia per l’ambiente, e il FUNAI, l’agenzia per gli affari indigeni, messi in ginocchio da Bolsonaro. Servirà infine un risultato importante per segnalare al mondo che sull’ambiente “Brazil is back”: a esempio un maxi Green New Deal brasiliano, ipotizzato da Lula da Silva, che però richiederà un’amplia maggioranza per essere approvato.

Per il momento bisogna rimanere a osservare e sperare in un’elezione trasparente e democratica. Ma qualsiasi risultato, il mondo dovrà continuare a osservare con grande attenzione gli accadimenti brasiliani, il mondo ambientalista e indigeno di questo grande tesoro di biodiversità e caposaldo per la lotta del clima hanno bisogno di tutto il supporto che possiamo fornire come cittadini del pianeta Terra.

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