Elezioni Brasile: in gioco c’è la biodiversità
Una settimana dopo le elezioni italiane l’attenzione si rivolgerà al Brasile. Le elezioni del 2 ottobre per decidere chi occuperà il Palácio do Planalto hanno un’importanza fondamentale per la lotta planetaria per il clima e la biodiversità. In corsa ci sono il candidato conservatore e presidente uscente Jair Bolsonaro e l’ex presidente brasiliano, Luiz Inacio Lula da Silva del Partido dos Trabalhadores (PT), il Partito dei Lavoratori. I sondaggi al momento danno quasi 11 punti di vantaggio a Lula, ma non è esclusa una rimonta e l’uso di tattiche poco corrette da parte di Bolsonaro, certo avvezzo a scorrettezze politiche di ogni tipo.
Difficile che non si conosca il reazionario Bolsonaro: incendiario, populista, bigotto, l’ex parà dell’Exército Brasileiro e di antiche origini italiane, ha riportato il brasile indietro di 50 anni, distruggendo ogni sforzo per ridurre la deforestazione e spingere la grande nazione latina verso la transizione ecologica.
Da quando è diventato presidente del Brasile, nel 2019, la deforestazione amazzonica è cresciuta infatti del 75,6%, gli allarmi per gli incendi forestali sono aumentati del 24% e le emissioni di gas serra del Paese sudamericano sono risalite del 10%, record mondiale. Il report Dangerous man, dangerous deals, pubblicato da Greenpeace sostiene che il presidente in carica ha realizzato un “sistematico smantellamento della protezione dell’ambiente e dei diritti umani”. Omicidi di attivisti ambientali, carta bianca alla deforestazione, depotenziamento dell’IBAMA (Instituto Brasileiro do Meio Ambiente, l’agenzia ambientale brasiliana), mancata tutela delle comunità indigene, espansione dell’utilizzo di pesticidi, e via dicendo. Attraverso un disegno legislativo, finanziario e politico, Bolsonaro ha attivamente accelerato il collasso climatico globale, considerata l’importanza fondamentale che riveste la foresta amazzonica nella bilancia carbonica globale e nella sfida per tutelare la biodiversità.
Una devastazione che mette a rischio gli stessi brasiliani: da quando è entrato in carica sono stati approvati circa 1.500 nuovi pesticidi, un nuovo record. Molti dei consentiti e utilizzati in Brasile contengono principi attivi non ammessi nell’Ue e pericolosi per la salute umana e l’ambiente. a esempio, l’erbicida atrazina (bandito nell’Ue da oltre 15 anni a causa dei suoi effetti pericolosi sulle acque sotterranee) è ancora presente in oltre 70 prodotti commerciali in Brasile. E gli impatti sulla salute di tante cittadini e cittadine sono destinati a riverberarsi per anni.
Il semaforo verde per taglialegna, minatori e accaparratori di terre illegali ha portato poi a una spirale di violenza: con 20 omicidi registrati nel solo 2021, il Brasile è tutt’oggi uno dei Paesi più pericolosi per gli attivisti ambientali. E nonostante il lasseiz-faire per l’agrobusiness anarcocapitalista, che secondo Jair avrebbe dovuto rilanciare il Paese, la situazione economica del Brasile è crollata mese dopo mese, allontanando la potenza sudamericana dall’orbita occidentale e da tanti altri Paesi del continente che hanno preso le distanze dal Presidente ecocida.
L’aggettivo “ecocida” è dovuto. Se fosse esistito un tribunale internazionale sui diritti ambientali Bolsonaro, infatti, sarebbe stato facilmente condannato per ecocidio, il crimine di devastazione della natura, visto il numero e l’evidenza dei disastri commessi.
Per il momento i sondaggi lo danno in svantaggio. Una notizia che rassicura, ma da prendere con le pinze con cui si prendono i sondaggi. Inoltre la vittoria di Lula non è automaticamente garanzia che il Brasile sarà in grado di arrestare immediatamente la deforestazione, rallentare l’estrazione di petrolio e gas (è il Paese con i maggiori giacimenti oil&gas sudamericani), riformare l’agricoltura intensiva a elevata intensità di fertilizzanti e diserbanti.
Certo Lula ha dichiarato di voler nominare uno zar per il clima appena sarà confermato presidente e ha ribadito di proseguire con le politiche tolleranza zero sulla deforestazione del periodo 2003-2010. Ma con 12 milioni di disoccupati e un’economia a dir poco zoppicante, una parte del potente settore dell’agrobusiness brasiliano ostacolerà ogni riforma e tanti contadini continueranno con pratiche di taglio della legna illegali.
Difficilmente poi Lula interverrà nel settore petrolifero e minerario dove il suo partito ha grande appoggio, e che riveste (sempre secondo il suo partito) un ruolo necessario per la ripresa economica del Paese. Per l’ex ministra dell’ambiente di Lula, Izabella Teixeira, serviranno poi mesi per ripristinare sia i finanziamenti che le infrastrutture di due agenzie chiave: l’IBAMA, l’agenzia per l’ambiente, e il FUNAI, l’agenzia per gli affari indigeni, messi in ginocchio da Bolsonaro. Servirà infine un risultato importante per segnalare al mondo che sull’ambiente “Brazil is back”: a esempio un maxi Green New Deal brasiliano, ipotizzato da Lula da Silva, che però richiederà un’amplia maggioranza per essere approvato.
Per il momento bisogna rimanere a osservare e sperare in un’elezione trasparente e democratica. Ma qualsiasi risultato, il mondo dovrà continuare a osservare con grande attenzione gli accadimenti brasiliani, il mondo ambientalista e indigeno di questo grande tesoro di biodiversità e caposaldo per la lotta del clima hanno bisogno di tutto il supporto che possiamo fornire come cittadini del pianeta Terra.