Economia

Povertà energetica: a rischio 4 milioni di famiglie

A dirlo, l’Associazione Artigiani e Piccole Imprese di Mestre sulla base dei dati dell’Osservatorio Italiano sulla Povertà Energetica risalenti al 2020. Destinati ad aumentare nei prossimi mesi
Credit: Rene Böhmer/un
Costanza Giannelli
Costanza Giannelli giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
16 settembre 2022 Aggiornato alle 11:00

4 milioni di famiglie in Italia sono a rischio povertà energetica. Parliamo di almeno 9 milioni di persone. A dirlo è l’Ufficio studi della CGIA (Associazione Artigiani e Piccole Imprese) di Mestre, che ha analizzato gli ultimi dati disponibili del Rapporto OIPE (Osservatorio Italiano sulla Povertà Energetica dell’Università degli studi di Padova) risalenti al 2020.

Uno scenario drammatico che, benché inquietante, non riesce a descrivere pienamente la gravità della situazione: i dati, spiegano infatti gli analisti, sono certamente sottodimensionati, perché «stimati ben prima dello shock energetico scoppiato nel nostro Paese a partire dalla seconda metà del 2021». Il numero delle persone in condizioni di povertà energetica, oggi, potrebbe essere nettamente più alto. Ma cosa si intende con “povertà energetica”?

Si tratta di un indicatore ottenuto confrontando la soglia di povertà relativa con la capacità di spesa residua. Quest’ultima, spiega il dossier della CGIA, «è stata calcolata da Faiella, Lavecchia e Borgarello (2017), sottraendo alle voci che costituiscono le spese delle famiglie (così come calcolate dall’Istat), quelle per il riscaldamento e il raffrescamento in “Una nuova misura della povertà energetica delle famiglie”».

Detto in parole più semplici, con questo termine – incluso nell’Agenda Europea come poverty energy o fuel poverty – si indica l’impossibilità da parte delle famiglie o degli individui di garantirsi un paniere minimo di beni e servizi energetici fondamentali: riscaldamento, raffreddamento, illuminazione, gas per cucinare o un accesso ai servizi energetici.

Il report della CGIA, in particolare, considera in condizioni di povertà energetica «i nuclei familiari che non riescono a utilizzare con regolarità l’impianto di riscaldamento d’inverno, quello di raffrescamento d’estate e, a causa delle precarie condizioni economiche, non dispongono o utilizzano saltuariamente gli elettrodomestici a elevato consumo di energia (lavastoviglie, lavatrice, asciugatrice, aspirapolvere, micro onde, forno elettrico, etc.)».

Mentre le società energetiche registrano extraprofitti record e i commentatori si dedicano a spiegarci che per risparmiare sulla bolletta dobbiamo spengere il gas dopo aver buttato la pasta, utilizzare solo gli elettrodomestici a pieno carico o tenere il termostato sotto i 19°, 9 milioni di persone il termostato non riescono nemmeno ad accenderlo tutti i giorni. Per loro, utilizzare gli elettrodomestici con parsimonia non è una scelta; spesso, quegli elettrodomestici nemmeno li possiedono.

Chi sono queste persone? Secondo l’identikit tratteggiato dal report basato sulle analisi dell’OIPE, le famiglie più vulnerabili sono quelle «con un elevato numero di componenti che risiedono in alloggi in cattivo stato di conservazione, con il capofamiglia giovane, spesso inoccupato e/o immigrato».

Le regioni in cui la situazione è più critica sono Campania, Sicilia e Calabria; complessivamente, il Mezzogiorno registra la frequenza della povertà più elevata d’Italia, che in quest’area interessa tra il 24 e il 36% delle famiglie. A essere più in difficoltà è la Campania che, da sola, ospita tra le 519.000 e le 779.000 famiglie che non riescono a utilizzare quotidianamente luce e gas. Numeri che sono destinati a salire a causa del caro bollette e dell’aumento esponenziale dei prezzi dell’energia previsto per l’autunno.

A rischio sarebbero soprattutto le famiglie dei lavoratori autonomi. Il 70% circa degli artigiani e dei commercianti, infatti, non ha dipendenti né collaboratori familiari e per moltissimi (piccoli e partite Iva) lo straordinario aumento dei prezzi che ha interessato le bollette negli ultimi sei mesi deve considerarsi raddoppiato, perché ai costi per l’energia domestica si aggiungono quelli dell’attività professionale.

Non solo: dagli ultimi dati Istat del 2019, ricorda la CGIA, «il rischio povertà delle famiglie presenti in Italia con un reddito principale ascrivibile a un lavoratore autonomo era pari al 25,1%, contro il 20% riconducibile a famiglie con fonte di reddito principale da lavoro dipendente». Una differenza percentuale che la pandemia e la conseguente crisi delle attività indipendenti può solo aver aggravato.

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