Diritti

Treccani e il maschile simbolico

Il celebre dizionario sceglie di elencare entrambe le declinazioni di aggettivi e sostantivi. E tanto per cambiare, ecco le polemiche
Credit: Joel Muniz/unsplash
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14 settembre 2022 Aggiornato alle 06:30

Nel mondo stanno succedendo molte cose, alcune buone, molte cattive. Una cosa, però sembra essere sempre molto affidabile nel suscitare un’indignazione del tutto fuori scala rispetto all’entità della cosa stessa, ed è questa: la discussione – infinita, estenuante – sul genere nella lingua italiana. L’ultimo episodio ad aver suscitato polemiche è la decisione del Dizionario Treccani di citare tutti i lemmi declinabili al maschile e al femminile inserendoli entrambi in ordine alfabetico. Quindi: “gatta” viene prima di “gatto”, ma “direttore” viene prima di “direttrice”. Chi cerca una parola sul dizionario, insomma, potrebbe trovare prima la declinazione femminile.

L’abbiamo detto un sacco di volte, niente rivela la misoginia come le piccole cose, i rari tentativi di riequilibrio. Finora, i termini nei dizionari erano elencati al maschile, con il femminile segnalato a parte, come una variazione. Il maschile assunto come neutro, il femminile come variazione: una scelta culturale, non grammaticale. Per molto tempo, anzi, per tutto il tempo dell’esistenza dell’italiano e fino a oggi, è stato così: il maschile come simbolo della neutralità dell’esistenza, il maschio come default dell’essere umano, la femmina – come faceva notare oltre settant’anni fa Simone De Beauvoir – come secondo sesso. Accessoria. Una variante, non sempre accettata.

Il Dizionario Treccani non inventa le parole: come tutti i dizionari, le cataloga, le elenca, le definisce. La scelta di includere il femminile nelle definizioni non è una scelta creativa, non impone desinenze, le documenta. Eppure questa decisione rappresenta una scelta potentissima: per la prima volta nella storia della lingua italiana, il maschile non è più considerato il genere di default. Non è strano che ci sia chi vive questa decisione come un attacco, perché in fondo lo è: un attacco simbolico alla dominanza maschile, che passa anche per il potere delle parole.

Non sono poche le donne che nel definirsi scelgono di manomettere la grammatica (la memoria va sempre a Beatrice Venezi, “direttore” d’orchestra, contento lui) per non sentirsi diminuite dal femminile, da sempre associato ai mestieri più umili e di servizio. “Cameriera” si dice. “Assessora” ancora no. “Maestra” sì, “medica” no. Il Dizionario Treccani pone fine alla querelle citando entrambe le versioni in maniera paritaria. La lingua è questa: l’uso che se ne fa non può che essere condizionato dalle scelte culturali, dalla misoginia introiettata, dal terrore che le donne possano uscire dal recinto in cui sono state rinchiuse e pensarsi uguali ai loro corrispondenti uomini. E magari pretendere pure di essere pagate allo stesso modo, di avere accesso alle professioni nello stesso modo, di condividere il carico domestico e della cura allo stesso modo. Questo non è compito di Treccani, ma è strettamente legato al modo in cui ci rappresentiamo e ci vediamo rappresentati. Sul dizionario Treccani, alla voce “casalinga” è affiancato “casalingo”: entrambi sostantivi.

Dall’uscita di Berlinguer ti voglio bene di Giuseppe Bertolucci sono passati quarantacinque anni, e stiamo ancora a “Pòle la donna permettisi di pareggiare con l’omo?”, nel senso che il livello della conversazione sta ancora a quello della famosa sequenza del film. Da scelte come quella di Treccani, però, è difficile tornare indietro, perché è difficile disputarne la correttezza dal punto di vista filologico, senza mai addentrarsi nel difficile e spinoso discorso del maschile plurale che annulla le differenze di genere e riporta tutto sotto l’unico ombrello di un neutro che non lo è. Per la grammatica italiana un uomo solo fra le donne, che siano due, duecento o duemila, ha il potere di farle sparire tutte, inghiottite da un “tutti” universale e soffocante. La pluralità multigenere non ha, al momento, una desinenza che la descriva.

Nemmeno la consapevolezza di conservare questo potere, e di come questo potere sia allo stesso tempo causa e conseguenza del dominio sociale degli uomini, è in grado di far desistere gli ultras della dominanza lessicale. Per fortuna il mondo va avanti, la storia passa e porta tutto con sé, anche gli scandalizzati dall’ordine alfabetico e i direttori che si vergognavano di essere donne.

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