Diritti

Elio Germano: «Elezioni? Sono preoccupato per i diritti civili»

Intervistato da La Svolta per l’uscita del suo ultimo film Il signore delle formiche, ci confida le sue paure in vista del 25 settembre. Perché «l’intento dei politici non è più quello di tutelare i cittadini ma di usarli per farsi eleggere»
Elio Germano in "Il signore delle formiche"
Elio Germano in "Il signore delle formiche" Credit: Claudio Iannone 
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12 settembre 2022 Aggiornato alle 21:00

Attore, regista, frontman del gruppo rap Le Bestie Rare, attivista sociale, libero pensatore: questo è Elio Germano (Il Giovane Favoloso, Mio fratello è figlio unico, La nostra vita, La tenerezza, Volevo Nascondermi, Favolacce), l’unico italiano ad aver vinto come migliore attore, la Palma d’Oro a Cannes e l’Orso d’Oro a Berlino.

Un artista noto anche per scegliere accuratamente i progetti di valore sociale a cui partecipare, come nel caso del nuovo film di Gianni Amelio, Il signore delle formiche, con Luigi Lo Cascio, in concorso alla 79° Festival del Cinema di Venezia (nelle sale dall’8 settembre) in cui si racconta la storia del poeta Aldo Braibanti che a fine anni ‘60 fu condannato a 9 anni di reclusione con l’accusa di plagio per aver sottomesso un suo studente di 23 anni con cui poi era andato a convivere, e dove Elio Germano interpreta un giornalista dell’Unità, personaggio che segue il processo e cerca di divulgare la verità incontrando un muro di gomma.

«Purtroppo, è una vicenda che all’epoca non suscitò il giusto clamore - ci racconta Elio Germano - Ci fu un boicottaggio della stampa, l’opinione pubblica restò indifferente nonostante gli accorati appelli di un gruppo di intellettuali come Carmelo Bene, Alberto Moravia e i fratelli Bellocchio (Marco Bellocchio è fra i produttori)».

Processo per plagio che nascondeva l’accusa di omosessualità.

«La parola omosessualità non viene mai usata durante il processo. Si accusa Braibanti di aver plagiato Giovanni, il suo giovane compagno. Accusa avanzata dai genitori del ragazzo, ultraconservatori di destra, che non accettavano questa relazione, e la natura di questo amore».

Braibanti è stato condannato a 9 anni, diventati 6 in appello. Una pena altissima per un non reato.

«Teniamo presente che l’accusa chiese ben 14 anni di carcere, uno in meno di un omicidio. Poi dei 9 anni ne ha scontati 2, ma perché era stato un partigiano e aveva passato vari anni in carcere durante il fascismo. Il povero Giovanni venne rinchiuso dai suoi familiari in un ospedale psichiatrico e sottoposto a devastanti elettroshock, affinché potesse “guarire” da quell’influsso diabolico. Anni dopo, il reato di plagio venne cancellato dal Codice penale, ma intanto era servito per mettere sotto accusa i diversi di ogni genere».

Un processo ambiguo.

«La giustizia è nata per tutelare i più fragili, qui si è trasformata in qualcos’altro, mettendo al pubblico ludibrio persone per bene, che non avevano fatto nulla. Del resto, ancora oggi è così, continuano a esserci eventi di malagiustizia, penso per esempio al caso Cucchi, fu subito bollato come tossico e questo bastò per giudicarlo e per accanirsi su di lui, ma questo succede a tante persone che sono più deboli, esposte, che si ritrovano non tutelate di fronte alla giustizia».

La cultura, il cinema, dovrebbero fare la differenza, non trova?

«L’arte ha il dovere di porre interrogativi. Il cinema in particolare è un grande specchio tramite il quale ci si può guardare. Il cinema dovrebbe aiutare a far sì che le persone comprendano la realtà, senza farsi prendere a schiaffi da essa, ma ormai niente sembra più scalfire la coscienza umana. L’arte può porre domande ma le risposte si devono trovare nella collettività».

La collettività è un tema che le sta molto a cuore.

«Sarà perché sono cresciuto in un paese (Germano è nato a Roma ma cresciuto a Duronia in Molise, paese dei suoi genitori, ndr) a stretto contatto con il territorio e i cittadini. Mi piace ascoltare, osservare, capire e vivere la città. Se ci sono degli amici che occupano una casa io vado. Per me è la cosa più naturale del mondo, è un senso di partecipazione e collettività che ho da sempre e mi chiedo perché, la maggior parte delle persone, non lo faccia».

Una libertà di espressione che sembra darle anche il cinema virtuale.

«Certo! La realtà virtuale è stata una vera scoperta per me. Con No Borders, il primo documentario in Realtà Virtuale, abbiamo raccontato con il regista Haider Rashid, la crisi dei migranti, l’esperienza dei volontari e degli spazi autogestiti dedicati all’accoglienza, come il Centro Baobab di Roma, e il presidio No Borders di Ventimiglia, città di frontiera diventata simbolo dell’emergenza migranti e della lotta contro la chiusura delle frontiere, entrambi i centri sono stati sgomberati dopo pochi mesi che l’avevamo girato… Qui faccio da narratore in questo percorso di scoperta, cercando di andare oltre la propaganda politica, per riuscire a far ascoltare le voci e le ragioni che spingono migliaia di donne, uomini, intere famiglie a sfidare la morte pur di abbandonare guerra e miseria».

Il neorealismo virtuale quindi è possibile?

«Direi di si. Siamo entrati nei centri di accoglienza, cercando di fare arrivare lo spettatore dentro quei luoghi ai più sconosciuti con la realtà virtuale che ha dato la possibilità di essere all’interno. Senza alcuna missione se non quella di dar voce a chi non ne ha. L’unico ruolo morale del mio mestiere è questo. Visto che abbiamo la possibilità di amplificare pensieri, notizie, ecco perché facciamo le interviste, almeno io mio scopo è questo».

Stiamo parlando di diritti civili. È preoccupato in vista delle elezioni del 25 settembre?

«Sono sempre molto preoccupato ogni volta che ci sono le elezioni, soprattutto se si parla di diritti civili, perché è chiaro che l’intento dei politici, non è più quello di rappresentare e tutelare i cittadini e il Paese, ma è quello di usare i cittadini per farsi eleggere, e basta. C’è una tendenza molto pericolosa, discorsi e argomenti che non mi piacciono, che sicuramente non porteranno ad avere maggiori diritti, ma metteranno in pericolo quelle mete che abbiamo raggiunto, e ci faranno sentire soltanto dei maggiori clienti con altre cose da comprare».

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