Futuro

Lo Spazio ha bisogno di una “ripulita”

La Federal Communications Commission ha proposto un piano di rientro anticipato per i satelliti una volta conclusa la missione, per rallentare la creazione di detriti orbitali e i rischi di collisione
Della spazzatura spaziale nota e tracciata, il 70% si trova nell'orbita terrestre bassa, che si estende per circa 2.000 km sopra la superficie terrestre. Il campo di detriti mostrato nell'immagine è la rappresentazione basata su dati reali.
Della spazzatura spaziale nota e tracciata, il 70% si trova nell'orbita terrestre bassa, che si estende per circa 2.000 km sopra la superficie terrestre. Il campo di detriti mostrato nell'immagine è la rappresentazione basata su dati reali. Credit: ESA 
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
12 settembre 2022 Aggiornato alle 17:00

“Satelliti defunti, nuclei di razzi abbandonati e altri detriti riempiono l’ambiente spaziale creando problemi per le missioni future”, ha spiegato la Federal Communications Commission parlando della necessità di mitigare i detriti orbitali nello Spazio: “Alla fine dello scorso anno erano in orbita più di 4800 satelliti e le proiezioni sulla crescita futura dei satelliti indicano che ce ne saranno molti altri”. E più aumenta il numero di oggetti nello spazio, più cresce il rischio di collisione.

L’agenzia governativa statunitense che regola le norme relative ai diversi tipi di apparecchiature elettroniche, dai dispositivi a radiofrequenza alle apparecchiature scientifiche, ha proposto un piano per anticipare il rientro nell’atmosfera terrestre di satelliti e altri veicoli spaziali: i 25 anni attuali dal completamento della missione si potrebbero ridurre a 5, “nell’ambito dei nostri continui sforzi per mitigare la generazione di detriti orbitali”.

La “regola dei 5 anni” richiede agli operatori della stazione spaziale di completare lo smaltimento non appena possibile, e comunque non oltre i 5 anni dalla fine della missione. Questa norma si applicherebbe “alle stazioni spaziali che terminano le loro missioni nella regione dell’orbita bassa della Terra o che vi transitano al di sotto dei 2.000 chilometri”. E riguarderebbe i satelliti e i sistemi con licenza statunitense e quelli che vorrebbero accedere al mercato Usa.

Si tratta, dice la Fcc, di “un primo passo per inaugurare una nuova era per la sicurezza spaziale e la politica sui detriti orbitali”, rientrando nel discorso della spazzatura spaziale che gravita intorno alla Terra. Secondo l’ultimo rapporto annuale sullo stato dell’ambiente spaziale pubblicato dall’Agenzia spaziale europea, l’Esa, sono circa 36.500 i detriti spaziali in orbita identificati e regolarmente monitorati per evitare collisioni, ma più di 1 milione quelli da 1 a 10 centimetri.

Secondo gli esperti Esa, “se non cambiamo significativamente il modo in cui lanciamo e smaltiamo gli oggetti spaziali, il numero di collisioni catastrofiche nello spazio rischia di aumentare”. Nel 1991 un consulente dell’agenzia spaziale americana Nasa propose uno scenario per cui il volume di detriti spaziali che si trovano nell’orbita terrestre bassa potrebbe diventare così elevato da generare una serie di collisioni che creerebbero una rischiosa reazione a catena: questa teoria prese il nome di Sindrome di Kessler.

Negli ultimi 2 anni si è verificato un “enorme aumento” del numero di piccoli satelliti commerciali in orbita, spiega l’Esa, molti lanciati per fornire servizi di comunicazione in tutto il mondo, che portano con sé grandi vantaggi, “ma rappresenteranno una sfida per la sostenibilità a lungo termine”. La maggior parte di questi detriti hanno un peso compreso tra 100 e 1000 chilogrammi.

Quelli così grandi possono essere osservati e controllati attraverso la tecnica radar, inviando un impulso di onde elettromagnetiche verso un detrito e rilevandone “l’eco”. Anche i telescopi possono aiutare a individuare i detriti, specialmente quelli metallici, perché riflettono la luce solare. Nel corso del tempo le tecniche si sono affinate e oggi è possibile rilevare non solo i detriti che misurano da 1 a 10 centimetri di larghezza, ma anche quelli da 1 millimetro a 1 centimetro: questi ultimi sarebbero oltre 130 milioni secondo lo Space Debris Office dell’Esa in Germania.

Nonostante le dimensioni quasi impercettibili rispetto ai satelliti e ai veicoli spaziali che fluttuano attorno alla Terra, questi oggetti possono provocare danni gravissimi, da piccole crepe fino alla distruzione di interi satelliti. Per questo le stazioni spaziali come il laboratorio europeo Columbus, così come i moduli della Nasa, sono dotati di strati di protezione, spesso di alluminio, in grado di ripararli dagli scontri più frequenti, quelli con i detriti più piccoli: scaglie di vernice, frammenti di circuiti elettronici, frammenti di acciaio, di alluminio, di titanio.

L’Esa sta sviluppando dei sistemi automatizzati che usano l’intelligenza artificiale e altre tecnologie per aiutare gli operatori a effettuare manovre di prevenzione delle collisioni e dotare sempre più satelliti di sistemi per deorbitare utilizzando i propri propulsori. L’Agenzia Spaziale Europea si è concentrata anche su metodi di rimozione dei detriti, e di recente ha annunciato una partnership con due diverse aziende private, OneWeb e Astroscale, che opereranno durante la prima missione di “ELSA-M”, prevista nel 2024. Sarà il primo sistema in grado di agganciare i satelliti e riportarli verso l’atmosfera.

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