Diritti

Settimana lavorativa: for is mej che faive

4 giorni, uguale stipendio ma maggior produttività e work-life balance. Alcuni paesi hanno già - più o meno - abbracciato l’idea. E l’Italia?
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5 giorni a settimana, dalle 9 alle 18, un’ora di pausa (se va bene). Immaginare un modello di vita lavorativa diverso – nonostante il boom dello smart working in periodo pandemico, che qualcuno vorrebbe reintrodurre per far fronte al caro gas – sembra ancora impossibile. Eppure, non sono pochi i Paesi che hanno già adottato la settimana lavorativa ridotta, generalmente di 4 giorni, che promette di garantire (a parità di salario) maggiore produttività e un migliore work-life balance.

Ma quali sono i Paesi che hanno abbracciato questo nuovo stile di lavoro, richiesto a più riprese non solo dai lavoratori in diverse parti del globo, ma anche da numerosi sindacati nazionali? E, soprattutto, come sta andando?

L’avanguardia islandese

Pioniera della settimana lavorativa di 4 giorni, tra il 2015 e il 2019 l’Islanda ha condotto il più grande progetto pilota al mondo riducendo le tradizionali ore lavorative da 40 a 35/36 ore, senza ridurre la retribuzione.

Circa 2.500 persone hanno preso parte alla fase di test, i cui risultati sono stati analizzati dal think tank britannico Autonomy e dall’Associazione islandese no profit per la sostenibilità e la democrazia (ALDA), al fine di garantire il controllo della qualità.

I ricercatori hanno scoperto che lo stress e il burnout dei lavoratori sono diminuiti e c’è stato un miglioramento dell’equilibrio vita-lavoro. Per questo, assieme ai sindacati che hanno negoziato la riduzione dell’orario di lavoro, hanno definito il progetto un «successo schiacciante». Un successo che si è tradotto in un cambiamento significativo: oggi, infatti, quasi il 90% della popolazione attiva ha orari ridotti o altre soluzioni flessibili.

Al modello islandese guarda la Scozia, che nel 2023 lancerà un progetto finanziato in parte dallo Scottish National Party, che sosterrà le società aderenti con circa 10 milioni di sterline (11,8 milioni di euro). Progetti sperimentali sono stati lanciati anche in Nuova Zelanda e Spagna.

Svezia: forse sì, ma forse no

In Svezia, invece, l’introduzione della settimana lavorativa breve è stata accolta con meno entusiasmo: nel 2015, quando, è stata testata una riduzione dell’orario lavorativo con retribuzione piena i risultati sono stati contrastanti.

La proposta era di provare giornate di 6 ore invece di 8 senza perdita di stipendio, ma non tutti – tra cui i partiti di sinistra – erano convinti di investire nel progetto, pensando che sarebbe stato troppo costoso implementarlo su larga scala.

I risultati positivi ci sono stati, eppure l’esperimento ha subito anche molte critiche e non è stato rinnovato. Nonostante questo, alcune aziende, come la casa automobilistica Toyota, hanno scelto di mantenere orari ridotti per i propri dipendenti, mantenendo inalterato lo stipendio.

Il Regno Unito ci prova

Per capire l’impatto reale della settimana lavorativa breve, anche il Regno Unito ha lanciato in giugno un programma pilota che durerà 6 mesi: l’obiettivo non è solo quello di analizzare gli effetti della riduzione dell’orario di lavoro sulla produttività e sul benessere dei loro lavoratori, ma anche quelli sull’ambiente e sulla parità di genere.

A gestire il programma saranno i ricercatori della University of Cambridge, Oxford e del Boston College, a cui si uniranno le associazioni senza scopo di lucro 4 Day Week Global, 4 Day Week UK Campaign e il think tank Autonomy.

Il modello, che sarà applicato alle circa 70 aziende britanniche e ai 3.300 dipendenti che hanno aderito al programma, sarà quello “100:80:100”: il 100% della retribuzione per l’80% del tempo, in cambio dell’impegno a mantenere almeno il 100% di produttività.

«Programmi simili inizieranno negli Stati Uniti e in Irlanda, e ce ne sono altri pianificati per Canada, Australia e Nuova Zelanda» ha affermato Joe Ryle, direttore della 4 Day Week UK Campaign.

Giappone: settimana corta vs superlavoro

In Giappone, dove il superlavoro fa molte vittime, non solo a causa delle malattie legate a ritmi estenuanti ma anche dei suicidi, sono state le aziende più grandi a prendere l’iniziativa, a seguito dell’annuncio del governo giapponese nel 2021 di un piano per raggiungere un migliore equilibrio tra lavoro e vita privata dei cittadini.

Già nel 2019 Microsoft ha sperimentato la settimana corta, offrendo ai dipendenti week-end di tre giorni per un mese, una mossa che secondo l’azienda ha aumentato la produttività del 40% e ha portato a un lavoro più efficiente.

Belgio: meno giorni, più disconnessione

I dipendenti belgi possono scegliere se lavorare 4 o 5 giorni alla settimana, ma questo non significa che chi sceglie la settimana corta può lavorare di meno: semplicemente, il carico e le ore di lavoro vengono condensate in meno giorni. 2 ore in più al giorno, un giorno libero in più. Una soluzione sicuramente interessante, ma non per tutti: per i dipendenti full time, infatti, potrebbe tradursi in turni troppo lunghi, mentre i turnisti potrebbero non poter disporre di questo livello di flessibilità.

L’obiettivo, secondo il primo ministro belga Alexander de Croo «è dare alle persone e alle aziende più libertà di organizzare il proprio orario di lavoro», non solo per garantire un maggior equilibrio tra lavoro e vita, ma anche per rendere più dinamico il mercato del lavoro del Paese».

Per migliorare la qualità della vita dei lavoratori belgi, il Paese aveva precedentemente annunciato che migliaia di dipendenti pubblici federali non sono più tenuti a rispondere alle chiamate o alle email dei loro capi al di fuori dell’orario di lavoro. A guadagnare il diritto alla disconnessione sono stati oltre 65.000 dipendenti del governo.

E l’Italia?

Nel nostro Paese sono pochissime le realtà che consentono ai dipendenti di usufruire della riduzione dell’orario lavorativo a parità di stipendio. Alcune aziende, come Awin Italia e Carter & Benson, l’hanno introdotta con risultati soddisfacenti – sia dal punto di vista della produttività che dei lavoratori – durante il lockdown, ma un cambiamento organico non sembra all’orizzonte.

L’ex Ministro del Lavoro Orlando si era dichiarato possibilista solo sull’idea di «iniziare a ragionarne», ammettendo «io non vedo un quadro politico che consenta un approccio organico su questo tema, lo dico con franchezza per le modalità in cui funziona questa maggioranza».

Se la nuova maggioranza potrà – o vorrà – intervenire lo vedremo presto: quello che è (quasi) certo è che, se come previsto il 25 settembre vincerà la destra, questo sembra improbabile. La riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, infatti, è presente solo nel programma del Partito Democratico, Verdi e Sinistra Italiana e Movimento 5 Stelle.

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