Città

In periferia le opportunità non sono uguali per tutti

Ci sono nata e cresciuta in un quartiere disagiato come Comasina. Quindi lo so che è così. E il crimine non è l’unico problema
Credit: Ving Cam
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11 settembre 2022 Aggiornato alle 06:30

Nascere e crescere in un quartiere di periferia significa conoscere il margine, abitarlo e costruirci la propria esistenza. Significa essere qualificati dalla lontananza a livello identitario, per raggiungere il cuore della città, dei servizi o dei divertimenti, i tempi sono lunghi e allungati a seconda di quanto alla città stia a cuore avvicinare la periferia.

Le distanze però non riguardano solo le strutture, ma anche le possibilità. Milano è la provincia leader in Italia per crimini. Il che si spiega in parte con la presenza di fratture tangibili, la diseguaglianza e la vicinanza tra ricchezza e povertà nonché la centralità della città nei movimenti di denaro, che la rendono un centro prono a essere attraversato dal crimine.

Come anticipato, nascere in un quartiere piuttosto che in un altro influisce su ciò a cui la singola persona ha accesso, quindi il suo paniere di possibilità. La periferia è una dimensione di per sé espulsa da abitare, è qualcosa che per definizione viene considerato bordo, la parola marginale, qui, trova modo di esprimersi nella complessità del suo senso quindi non solo come un aggettivo spaziale, propriamente ciò che sta al margine delle cose, ma anche in termini valoriali, ciò che sta al margine è secondario e trascurabile.

Il margine trascurato è, però, abitato, vissuto e integrato nelle esistenze che vi si realizzano. La collocazione urbana di una vita porta con sé degli effetti e delle dinamiche accessorie che deviano o, quantomeno, indirizzano il percorso di vita. Quartieri con status socio economici bassi, quindi quartieri poveri e considerati tali, se non addirittura degradati, tendono ad avere un tasso criminale più alto e una sicurezza minore. Di conseguenza, la convergenza di profili criminali aumenta mentre le tutele e le sicurezza tipiche della città diminuiscono e, di solito, tanto basta a definire un quartiere come pericoloso.

Non solo, le evidenze indicano che i giovani che abitano in questi quartieri sono più a rischio di essere coinvolti in atti criminali. Ciò vuol dire che per un ragazzo, abitare in un quartiere povero e considerato pericoloso aumenta il rischio di esposizione o partecipazione a reati criminali di piccola e media entità, a dimostrazione che l’intersezione tra genere, età, tipo di quartiere e condizione economica sono statisticamente rilevanti e possono perciò determinare un’incidenza maggiore di sviluppare una biografia connessa al crimine.

La famosa diatriba natura e cultura nelle periferie si risolve nella convergenza di possibilità e fattualità a cui si è esposti. Gli studi sul tema sono molteplici e la loro collocazione globale dimostra quanto la questione sia sentita, ma soprattutto ne snuda l’ordine di continuità. Nei quartieri poveri e periferici, quelli che andrebbero definiti svantaggiati più che pericolosi, sono associati allo sviluppo di comportamenti criminali. E alla città, queste evidenze interessano in maniera marginale.

Infatti, essa si limita a lustrare il centro, lasciando le periferie scollegate e attribuendo loro la colpa della propria condizione. La Comasina è un esempio calzante. Un quartiere famoso per la banda della comasina, Vallanzasca (su cui Sky si è addirittura premurata di realizzare una serie), che periodicamente conquista i titoli di giornale per l’avvicendarsi di un crimine. Una sparatoria in pieno giorno, un’operazione di polizia con molteplici arresti. Di recente, un blitz ha riportato il quartiere sulle pagine dei quotidiani, molti dei quali non hanno lesinato con i richiami alla “banda della comasina” degli anni ‘70, piuttosto che a Vallanzasca stesso. Addirittura c’è stato chi ha parlato della “legge della comasina”.

Quartiere Comasina
Quartiere Comasina Credit: Martina Miccichè

Quello che sta venendo dipinto è un quartiere criminale, attingendo a quella brutta fama che dagli anni ‘70 si è intrecciata al suo nome e alimentando lo stigma che colpisce e inficia la qualità della vita delle persone che lo abitano. Un marchio come quello del crimine preme sulla vita di chiunque abiti un quartiere definito pericoloso, una macchia che erode i perimetri identitari come ruggine, lasciando che chi non ne è colpito possa arrogarsi la possibilità di qualificare in maniera semplicistica e stereotipata esistenze intere. Azioni queste che contribuiscono in maniera diretta ad aumentare quell’allontanamento, alimentando il fattore di rischio, rinforzando la statistica.

Secondo le rilevazioni realizzate sui quartieri londinesi, circa l’80% dei crimini si realizza nelle aree più svantaggiate, crimini legati alla droga si verificano con un’incidenza maggiore di 2,3 volte rispetto a quartieri con minori svantaggi economici. Per molti, questo basta a determinare la colpa del quartiere stesso, la responsabilità di chi lo abita è l’unica contemplata e la pena è la giustificazione dell’espulsione sociale.

La città, le città più correttamente, si legittimano nel loro essere completamente sorde alle necessità dei quartieri periferici concentrandosi sulla loro pericolosità, negando l’idea stessa dello svantaggio e della necessità di investire per ridurlo. Il centro non riconosce di avere le possibilità per intervenire in maniera costruttiva nelle e con le periferie, elaborando quei servizi alla persona capaci di influire sul percorso biografico. E nel non farlo si ripete che tanto, quello è un quartiere pericoloso. L’unica risorsa che il centro si premura di dispiegare è la securitizzazione, intesa come presenza della polizia.

Millanta chissà quale distribuzione di sicurezza, ma all’atto pratico non la costruisce. Scuole, librerie, consultori, associazioni di quartiere, mobilità, illuminazione e concentrazione di proposte culturali sono elementi centrali, fondamentali, per lo sviluppo autonomo del proprio percorso biografico. E lo stesso vale per le possibilità lavorative, talvolta inficiate dallo stigma stesso che tiene lontani gli abitanti dei quartieri definiti pericolosi, da professioni che consentirebbero indipendenza, mobilità sociale e un benessere accessorio tale da poter esporre la prole a un ventaglio maggiore di possibilità.

Ebbene, io, in un quartiere considerato pericoloso ci sono nata e cresciuta. E non in uno qualunque, ma proprio nella Comasina. Nel mio quartiere non ci sono librerie, non ci sono cinema e non passa mai nessuno che non ci abiti o non sia un pendolare interessato a raggiungere la metropolitana. La scuola è un mezzo nel mio quartiere, serve a trovare un buon lavoro. L’erosione di significato derivata dalla necessità materiale di contribuire alle spese familiari ha effetti lampanti sul percorso accademico nonché sulle prospettive lavorative.

Quartiere Comasina
Quartiere Comasina Credit: Martina Miccichè

L’esposizione al crimine è precoce e, unita alle necessità economiche, aumenta il rischio per i ragazzi di esserne coinvolti. All’inizio sono pochi soldi, per comprare quelle cose che in casa non sono inserite nel bilancio familiare, principalmente quegli status symbol che la peer pressure fa percepire come fondamentali. Ma piano piano questi primi acquisti fanno saggiare l’indipendenza economica, il potere che ne deriva. La scuola, quindi, diventa secondaria e non stupisce che nei quartieri con uno status economico mediamente basso la frequenza sia erosa.

E se nel nucleo familiare è presente una persona che ha commesso crimini o che indulge in attività illegali, la tendenza aumenta. Di padre in figlio, l’idea di sbarcare il lunario e la parabola di genere per cui sta agli uomini pensarci e pensarci da soli, piano piano sfuma nella quotidianità.

E quando eventi come quelli che sono saliti alla ribalta dei giornali si realizzano, quando il disservizio narrativo ci racconta come un quartiere in cui siamo criminali per “legge”, quindi per natura, il rischio per le generazioni giovani aumenta. Non solo in termini pratici ma anche psicologici. Se una persona viene definita criminale per tutta la vita è probabile che si convinca di esserlo e che, anzi, gli paia normale se non addirittura vantaggioso.

Subentra poi la dimensione carceraria, ormai certificata come evento di cristallizzazione della criminalità. Chi era già socialmente espulso viene confinato in un ambiente che non offre reali mezzi e possibilità di rielaborazione del sé e delle proprie prospettive, piuttosto viene investito di un nuovo stigma e annientato dalla consapevolezza che, una volta fuori, sarà ancora più difficile trovare un lavoro. La famiglia stessa viene ridimensionata, i bambini esposti alla precarietà economica colpevolizzeranno la legge, e non il sistema, soffriranno l’assenza e familiarizzeranno con il carcere stesso.

Perciò, leggendo la narrazione ridicola che sta accompagnando il resoconto degli eventi, non posso che chiedermi quando le città si assumeranno direttamente le loro responsabilità e inizieranno a guardare dentro le loro periferie cercando di connetterle per davvero. Quando inizieranno a ricordarsi di questi spazi dimenticati, rilevanti solo in periodi elettorali, senza che vi sia un evento drammatico - perché il crimine è un dramma sociale condiviso - e inizieranno a considerarci davvero per ciò che siamo. Persone che abitano l’orlo esterno della città, nate con la stessa assenza di colpe di chi ha avuto la fortuna e la ricchezza di nascere in centro, ma a differenza loro relegate sin dal principio nel volume della lontananza, dell’assenza e dello stigma.

Quello che chiamano colpa ma che in realtà è disuguaglianza: lo svantaggio urbano. La Comasina - come pure Quarto, Bruzzano, Barona, e tanti altri - si merita qualcosa di meglio di titoli grondanti pregiudizi e lettere scarlatte.

Quartiere Comasina
Quartiere Comasina Credit: Saverio Nichetti
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