Economia

Inflazione… controvento!

La crisi del gas è l’occasione per una convergenza tra le politiche di contenimento dell’aumento dei prezzi e quelle contro il cambiamento climatico? Sì e gli Usa lo hanno capito. L’Europa?
Credit: Samantha Gades
Tempo di lettura 5 min lettura
8 settembre 2022 Aggiornato alle 06:30

L’inflazione attuale è soprattutto conseguenza del prezzo del gas, che fa lievitare l’indice dei prezzi direttamente, ma anche indirettamente perché aumenta i costi di produzione di molti prodotti che poi si scaricano sui prezzi finali. In questo contesto si inseriscono le dinamiche della speculazione, che accelerano i prezzi senza una base nell’economia reale. Se si potesse bloccare l’aumento dei prezzi del gas, si avrebbe un’inflazione molto minore e si ridurrebbero le aspettative di inflazione che la alimentano per via di speculazione. Più tempo passa prima di prendere provvedimenti, più partono altre spirali inflazionistiche.

Naturalmente ci sono altre componenti dell’inflazione, come quelle dovute alle difficoltà della globalizzazione che mettono in crisi alcune complesse filiere produttive. E in qualche caso fanno aumentare i prezzi. Come per esempio nel caso degli smartphone: un’inchiesta del New York Times mostra il rapporto tra aumento del prezzo degli iPhone e riorganizzazione della filiera produttiva con lo spostamento in India di una parte della produzione che prima era in Cina.

Anche la prosecuzione delle politiche di contenimento della pandemia contribuiscono all’inflazione, probabilmente, se è vero che in Cina resta difficile lavorare per gli stranieri e i costi che le imprese occidentali devono sostenere per inviare loro persone in quel paese sono diventati insostenibili. Ma è chiaro che questi sono elementi inflazionistici meno generalizzati, meno improvvisi, meno impattanti di quelli che vengono dal gas.

Si può generalizzare, comunque, sostenendo che l’inflazione è generata dai cambiamenti di clima politico: la guerra della Russia in Ucraina, la rinuncia alla collaborazione tra Usa e Cina, l’incapacità di costruire una narrativa credibile e non violenta per affrontare le grandi, ineluttabili sfide che l’umanità deve affrontare. Le aspettative sono rivolte al conflitto, alla crisi, alle difficoltà: non sono orientate all’innovazione e al miglioramento pacifico della convivenza. Evidentemente, i potenti del mondo pensano di conservare meglio il loro potere più puntando sul conflitto che sulla pace, in questa fase storica. Anche se sanno che non potranno esagerare nel conflitto: la minaccia nucleare è ancora lì. Ed è più diffusa dato che esistono più potenze che la possono usare. Non è la nuova guerra fredda: è un riassestamento dell’ordine mondiale, con una guerra che si manifesta a pezzetti, nei luoghi dove le faglie geopolitiche si toccano troppo da vicino.

Ma sebbene le difficoltà siano evidenti, vedere solo nero è inutile. E considerare ossessivamente soltanto le decisioni politiche è unilaterale. Esistono tendenze storiche che superano le volontà politiche di questo o quel governo e che guideranno le decisioni di fondo. Il tema dell’emergenza climatica genera una di queste tendenze. È possibile che chi mantiene una leadership coerente sulla riduzione della CO2 possa alla fine conquistare un’influenza globale anche senza usare armi? Non è facile rispondere, ma per l’Europa è la scommessa più adatta. Sarebbe un errore clamoroso, per l’Europa, rinunciare a spingere per abbattere la CO2. Come sarebbe un errore perdere di vista la sua identità democratica, la sua politica inclusiva, la sua attenzione ai diritti umani. Molto meno identitario, invece, per l’Europa è il perseguimento di una politica economica neoliberista. E in effetti queste priorità sembrano poter prevalere.

Dopo molte esitazioni ideologiche, soprattutto dopo un braccio di ferro tra gli interessi dei Paesi che beneficiano dell’aumento dei prezzi e quelli che li pagano, la Commissione europea ha deciso di contrastare la speculazione sul gas. Interverrà sul mercato di Amsterdam e prenderà altre misure per impedire al prezzo del gas di danneggiare imprese e famiglie più di quanto non abbia già fatto. Ma la Commissione può fare qualcosa di più strutturale. Come osserva Fatih Birol, direttore della International Energy Agency, chi ha investito di energie rinnovabili si trova al riparo dagli aspetti peggiori della crisi attuale e intende investire ancora di più in questa direzione. È una tendenza fondamentale, da incoraggiare.

Nello scorso agosto, gli Usa hanno adottato un Inflation Reduction Act che tra l’altro connette la lotta all’inflazione con gli investimenti in energia pulita: 369 miliardi di investimenti in fonti rinnovabili pensati per contrastare contemporaneamente l’emergenza climatica e l’inflazione sono un esempio da copiare in Europa. È una strada maestra per la politica economica che se adottata anche in Europa produrrebbe con i suoi tempi meno CO2 e meno dipendenza dal gas, russo o altrui. E che taglierebbe le gambe alla speculazione sul gas nel medio termine: se la narrativa della dipendenza perde credibilità, le aspettative che motivano la speculazione perdono credibilità. La crisi del gas deve essere l’occasione per accelerare la liberazione dell’Europa dalle fonti fossili. Qualsiasi altro punto di vista in materia è legittimo ma secondario.

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