La Fabbrica del Mondo: è davvero tutta colpa della tecnologia?
Si è alzato il vento durante l’ultima giornata del nostro festival, ideato e organizzato insieme a Jolefilm, Gli incontri della Fabbrica del Mondo. Il cielo si è rannuvolato, la pioggia minacciava di costringere gli incontri al chiuso, rinunciando al panorama offerto dai colori patavini di inizio settembre. Ma il tempo ha retto e ha permesso agli ospiti del terzo e ultimo appuntamento della rassegna di portare i loro interventi sul palco allestito a Villa Draghi, nel comune di Montegrotto Terme.
Se la prima sera si era parlato di futuro e di previsioni, e poi il giorno successivo di ambiente e di conflitti generazionali, stavolta il fulcro sono stati lavoro e tecnologia, ma la serata si è allargata al tema più ampio dei diritti, e a partire da una serie di parole sono state raccontate delle storie.

La prima a farlo è stata l’economista Azzurra Rinaldi, femminista, direttrice della School Of Gender Economics, che lettori e lettrici del nostro giornale conoscono come opinionista de La Svolta. Il suo discorso d’apertura ha ruotato intorno a quattro termini, poi ripresi nel corso della serata dagli altri ospiti: cambiamento, valori, responsabilità e cura.
«Chi lavora oggi guadagna il 3% in meno rispetto a una persona che lavorava nel 1990, un giovane prende il 39% in meno di una figura senior, i giga capitalisti hanno una ricchezza pari al 14% del Pil mondiale. Ma di chi è la responsabilità di questo cambiamento? Quali sono i valori dei nuovi consumatori e delle nuove consumatrici che vogliono consumare in modo diverso e sentirsi meno in colpa quando lo fanno? È chiaro che la responsabilità deve essere collettiva, ma anche individuale, e possiamo sopravvivere solo grazie alla cooperazione». I concetti da cui dobbiamo ripartire, secondo Rinaldi, sono l’empatia e la cura.

La parola passa a qualcuno che si impegna a prendersi cura del proprio territorio, il Veneto: è Alberto Baban, imprenditore, fondatore e presidente di VeNetWork, l’acceleratore di attività produttive e finanziarie che riunisce 66 imprenditori veneti che sostengono e sviluppano progetti ad alto potenziale. Racconta la sua storia di “rinascita”, di qualcuno che è ripartito da zero e punta sul dialogo con le nuove generazioni, «che hanno un linguaggio evidentemente e naturalmente diverso dal nostro. Per dialogare dobbiamo iniziare a costruire una linea, riuscire a comprendere ragazzi e ragazze, e qui la riforma del sistema educativo sarà il più grande obiettivo a cui potremo ambire».
Dopo di lui Sandrino Graceffa, cofondatore di SMart Coop, spiega il valore della reciprocità, lui che ha contribuito a creare una comunità di artisti che si è allargata man mano a vari settori della creatività e della conoscenza, e poi ai freelance di ogni settore, ufficializzando il loro lavoro. Lui, belga di origine, residente a Bruxelles e con i parenti in Calabria, spiega che a volte vale la pena soffermarsi su quello che già esiste, perfezionarlo e prendersene cura: «Il sistema esisteva già in Belgio, nel ‘98, ma riuniva solo una cinquantina di persone». Oggi offre strumenti e consulenze in sette Paesi d’Europa, con 90.000 soci uniti nella tutela di chi affronta condizioni di precarietà, discontinuità e incertezza di reddito.
E poi è arrivato il turno dell’avvocata specializzata in diritti umani e immigrazione, Alessandra Ballerini. Da anni rincorre la verità insieme ai genitori di Giulio Regeni, il ricercatore torturato e ucciso in Egitto nel 2016. Prima del suo intervento Paolini e Baban hanno srotolato lo striscione che chiede nero su giallo “Verità per Giulio Regeni”.
Ballerini ha ripercorso il dibattito soffermandosi su alcune parole ricorrenti: cambiamento, paura, disuguaglianze, cura. «Le persone si spostano in nome del cambiamento, tentando di migliorare la propria esistenza, e iniziando ad aver paura nel momento in cui partono, quando viaggiano e vedono morire i propri figli, quando raccontano la propria storia a chi dovrebbe accoglierli e non gli crede. Ma i diritti non sono una fortuna, sono inviolabili, e violarli ci costa mille volte più che tutelarli. E allora perché non risparmiamo soldi e sofferenze? In alcune aule di giustizia i diritti fondamentali trovano un riconoscimento, ma non accade sempre».
Ballerini spiega che spesso, come nel caso della famiglia «di Giulio», ci sono persone che si prendono cura dei diritti degli altri quando questi non sono nelle condizioni di farlo: «Loro si battono per “tutti quelli come Giulio”, e alcuni colleghi in Egitto mi hanno spiegato che ne muoiono 3 o 4 al giorno in quel modo. Ma io non mi capacito del perché, non faccio che chiedermelo, e così mi hanno definita una nativa democratica», non abituata a questo genere di ingiustizie. «Io ho pensato che è una buona cosa essere nativi democratici, mentre non è una buona cosa quando senti dire da chi ti governa che coi dittatori bisogna collaborare. Ecco, coi dittatori non bisogna collaborare». In quel momento uno scroscio di applausi ha rimbombato nei Colli Euganei.
Paolini, moderatore della serata, alla fine ha detto che ognuno degli interventi sentiti aveva una cosa, in particolare, in comune: un cuore. «Non rassegniamoci al realismo, alla scorciatoia. Ci sono dei momenti in cui tiriamo fuori il meglio di noi: facciamo in modo che non serva un terremoto».
La serata avrebbe dovuto concludersi con Fabbrica, racconto in forma di lettura di Ascanio Celestini, ma «è un mio spettacolo di vent’anni fa, e allora ho chiesto se potessi portare una cosa a cui sto lavorando da un po’: quando la finirò, e spero che succeda presto, sarà la terza parte di una trilogia iniziata nel 2015 con Laika e continuata due anni più tardi con Pueblo. Prima del lockdown pensavo che il titolo potesse essere “I draghi”. Non immaginavo minimamente che poi sarebbe andata così». E poi abbiamo assistito a tre racconti inediti e mezzo recitati da Celestini, solo sul palco con una tracolla nera e uno spartito metallico. Sotto il cielo stellato che ci ha accompagnati in questa tre giorni che si ripeterà, ne siamo certi.
