Futuro

Ben van Beurden ci ha avvertito

L’amministratore delegato della Shell suggerisce che gli europei razionino l’energia. E per molti anni. Previsione o minaccia?
Attivisti di Extinction Rebellion a Londra nel 2021 durante una protesta davanti allo Science Museum, contro la sponsorizzazione  dell'istituto dalle società di combustibili fossili
Attivisti di Extinction Rebellion a Londra nel 2021 durante una protesta davanti allo Science Museum, contro la sponsorizzazione dell'istituto dalle società di combustibili fossili Credit: Thomas Krych/SOPA Images via ZUMA Press Wire
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1 settembre 2022 Aggiornato alle 06:30

Ben van Beurden, amministratore delegato olandese della Shell, ha detto che gli europei dovrebbero cominciare a pensare di razionare il consumo di energia per parecchi anni, ha riportato il Financial Times. Una previsione che è anche un avvertimento, minaccioso. Che giunge mentre l’Europa finalmente discute di mettere un tetto al prezzo dell’energia, o di cambiare il sistema di fissazione del prezzo dell’elettricità: discussione che soltanto per il fatto che si è avviata ha già dato un taglio netto alle speculazioni sul prezzo dell’energia.

Pochi argomenti sono tanto complessi come il mercato dell’energia. Ma pochi argomenti complessi si possono interpretare, per quanto riguarda il lungo termine, con altrettanta semplicità come il mercato dell’energia. Perché il fenomeno emergente in questo mercato è l’eliminazione delle emissioni di CO2 nel quadro della strategia necessaria a rispondere all’emergenza climatica. Di qui non si scappa.

Quindi i binari sono chiari: prima o poi deve finire il consumo di energia basato su fonti fossili e deve essere costruito un nuovo sistema fondato sulle fonti rinnovabili. Si ritiene che questa transizione sarà costosa. Ma è ineludibile e prima o poi va fatta. Indubbiamente, l’attuale crisi dei prezzi del gas, cresciuti in Europa di 30 volte rispetto a due anni fa, dovrebbe essere vista come un poderoso acceleratore del passaggio alle fonti rinnovabili che ormai costano molto meno delle fonti fossili, che hanno il vantaggio di ridurre la dipendenza dal gas russo e che soprattutto servono a contenere le emissioni di CO2. Perché non è così?

In primo luogo non è così perché le menti sono concentrate sul breve termine. Non senza qualche ragione. Il Generale Inverno avanza. La Russia gioca con il potere di controllo degli approvvigionamenti europei di gas che gli è stato conferito da una trentennale strategia continentale, a trazione tedesca, ma approvata da tutti i maggiori paesi. La causa della devastante efficacia di quel potere, però, è nella scelta di definire il mercato dell’energia elettrica in Europa sulla base della più costosa fonte di energia: il prezzo dell’elettricità è fissato sul costo della fonte di energia che è servita per produrre l’unità di elettricità marginale.

Se la domanda di elettricità supera la capacità produttiva di tutte le altre fonti meno costose e quindi è necessario usare anche un po’ della più costosa, il prezzo sarà fissato da quest’ultima. Questo sistema ha funzionato generando competizione tra le fonti e avvantaggiando i consumatori per molto tempo. Ma la crisi geopolitica ha trasformato il sistema in una trappola che impone a tutto il sistema produttivo europeo costi abnormi che possono essere riversati sulla domanda finale generando una fortissima inflazione. E l’inflazione fa perdere di focalizzazione: se la si combatte alzando i tassi generalizza la crisi a tutti i settori.

Se la si fosse combattuta subito soltanto bloccando il perverso meccanismo che definisce il prezzo dell’elettricità, forse, non sarebbe arrivata dov’è. Perché non si è fatto così? Non lo si è fatto perché si riteneva che il mercato, vedendo che chi aveva impianti fotovoltaici ed eolici faceva profitti pazzeschi, avrebbe indotto tutti a investire in fonti rinnovabili. Oppure non lo si è fatto perché si riteneva che la crisi fosse passeggera. Lo sappiamo perché il presidente del consiglio italiano Mario Draghi aveva proposto un tetto al prezzo dell’energia e il premier olandese Mark Rutte lo aveva bloccato invocando la libertà di mercato.

Una libertà di mercato bizzarra visto che si traduce tra l’altro in un aumento senza precedenti dei profitti delle compagnie petrolifere. La Shell, gigante anglo-olandese, nel primo trimestre del 2022 ha registrato profitti superiori di tre volte rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. La Exxon ha avuto un andamento analogo. Murray Auchincloss, responsabile della finanza di BP, come riportato dal Guardian, ha detto: «È certo che stiamo facendo soldi in una quantità superiore a quella che sappiamo come usare». La Shell di van Beurden ha saputo usarli: ha restituito subito una buona parte dei profitti agli azionisti, comprando le proprie azioni e bloccando così qualsiasi utilizzo intelligente di quei soldi.

Per l’Europa, liberarsi del potere che la Russia esercita controllando la produzione di gas sarà un ottimo risultato. Ma anche differenziando le fonti di approvvigionamento di gas, si manterrà il potere ben più grande delle compagnie petrolifere giganti.

L’avvertimento di Ben van Beurden - lanciato nel corso dell’inaugurazione di grande un impianto per la cattura di CO2 - si può leggere anche come una narrativa coerente con le più rosee speranze dei suoi azionisti. Se la situazione attuale durerà a lungo, con un contenimento della domanda non sufficiente a ridurre il prezzo del gas, i profitti della Shell continueranno a essere enormi. Alla crisi climatica penseranno gli impianti di cattura della CO2. Le fonti rinnovabili saranno raccontate come insufficienti. La transizione ecologica sarà presentata come una strada costosa.

Da decenni le compagnie petrolifere perdono potere ma ne hanno ancora tanto e sanno come usarlo. Alcune tra queste sono maestre nel greenwashing. Ma molte non vanno tanto per il sottile. E fanno enormi profitti inquinando come nessun altro. Forse è tempo di un cambio di registro. L’Europa può certamente cambiare i meccanismi del mercato che la penalizzano. Ma forse potrebbe anche domandarsi se questo settore del gas e del petrolio si possa davvero considerare un mercato. Le autorità antitrust che sono tanto sottili nell’interpretare il potere dei giganti digitali, forse si occupano troppo poco di riconoscere le sottigliezze del potere delle compagnie petrolifere.

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