Futuro

Davanti al cibo, m’illumino d’immenso

I ricercatori del Mit hanno scoperto alcuni neuroni sensibili agli alimenti, capaci di “accendersi” quando guardiamo un manicaretto
Credit: Dan gold/unsplash
Tempo di lettura 4 min lettura
30 agosto 2022 Aggiornato alle 13:00

Ti illumini quando vedi qualcosa da mangiare? Beh, potrebbe non essere più solo una metafora.

Alcuni neuroscienziati del Mit – Massachusetts Institute of Technology – hanno scoperto dei neuroni sensibili al cibo situati nel flusso visivo ventrale: quando guardi una pizza, un piatto di pasta o una torta, una parte specializzata della corteccia visiva si illumina.

Questa popolazione di neuroni sensibili al cibo si trova nella stessa zona sensoriale – il flusso visivo ventrale, appunto – deputata alla risposta di volti, corpi, luoghi e parole. Questa scoperta, affermano i ricercatori, potrebbe spiegare il significato centrale del cibo nella cultura umana: «Il cibo è fondamentale nelle pratiche culturali e per le interazioni sociali umane», dichiara Nancy Kanwisher, docente di neuroscienze cognitive e membro del McGovern Institute for Brain Research del Mit.

I risultati, basati su un campione di 10.000 immagini a cui il cervello umano ha risposto, hanno portato i ricercatori a porsi altri interrogativi sul come e sul perché si sviluppa questa specifica popolazione neurale, domanda a cui gli studiosi sperano di dare risposta attraverso altre ricerche.

Più di vent’anni fa, durante i suoi studi sul flusso visivo, Kanwisher scoprì che una parte del cervello umano, quella deputata al riconoscimento degli oggetti, attraverso regioni corticali è in grado di riconoscere i volti. Successivamente, insieme ad altri colleghi e colleghe, scoprì l’esistenza di altre regioni che rispondono selettivamente a luoghi, corpi o parole.

Ma la maggior parte di queste aree sono state individuate solo nel momento in cui i ricercatori hanno deciso di cercarle. E questo approccio basato su ipotesi, spiega Kanwisher, è limitante: «Potrebbero esserci altre cose a cui non pensiamo di cercare – dice – E anche quando troviamo qualcosa, come facciamo a sapere che in realtà fa parte della struttura dominante di base di quel percorso e non di qualcosa che abbiamo trovato solo perché lo stavamo cercando?».

Per arrivare a questa scoperta, Kanwisher e Meenakshi Khosla, anch’essa ricercatrice del Mit, hanno analizzato un set di dati di risposte di risonanza magnetica funzionale dell’intero cervello di otto soggetti umani mentre osservavano migliaia di immagini. «Volevamo vedere quando applichiamo una strategia basata su dati ma priva di ipotesi quali tipi di selettività riusciamo a rilevare e se sono coerenti con quanto scoperto in precedenza. E poi volevamo vedere se potevamo scoprire nuove selettività che non avevamo mai ipotizzato prima», spiega Khosla.

Utilizzando un approccio matematico, i ricercatori e le ricercatrici hanno trovato quattro popolazioni di neuroni che corrispondevano a quattro gruppi identificati in precedenza: volti, luoghi, corpi e parole. Ma è emersa anche una quinta popolazione, che sembrava essere selettiva per le immagini del cibo: «All’inizio siamo rimasti perplessi perché il cibo non rappresenta una categoria visivamente omogenea – continua Khosla – Cose come mele, mais e pasta sembrano tutte così diverse l’una dall’altra; eppure abbiamo trovato un’unica popolazione di neuroni che risponde in modo simile a tutti questi diversi prodotti alimentari».

Paul Rozin, professore di psicologia alla University of Pennsylvania, non ha partecipato allo studio ma è rimasto fortemente impressionato dai risultati: «La tecnica utilizzata dai ricercatori per identificare aree sensibili è impressionante […] Non riesco a immaginare un modo in cui il cervello identifichi in modo affidabile la diversità degli alimenti in base alle caratteristiche sensoriali. E questo rende tutto ancora più affascinante».

Questa popolazione specifica di neuroni, che i ricercatori hanno denominato componente alimentare ventrale (VFC), sembra essere distribuita su due gruppi, entrambi situati sui lati dell’area fusiforme facciale. Dunque, il fatto che esse siano distribuite tra altre popolazioni specifiche potrebbe spiegare perché non sono mai state viste fino a ora.

Inoltre, i ricercatori hanno scoperto che in alcuni soggetti il VCF rispondeva di più ad alimenti trasformati, come la pizza, rispetto ad alimenti non trasformati, per esempio le mele. In questo senso, il proposito del team di ricerca è quello di esplorare in futuro se fattori come familiarità, simpatia o antipatia per un particolare alimento possano influenzare le risposte degli individui a quel cibo.

Leggi anche
robot
di Caterina Tarquini 3 min lettura
Economia circolare
di Rebecca Zaccarini 3 min lettura