Ambiente

Le carbon bomb che fanno esplodere il Pianeta

La ricerca pubblicata su Energy Policy ha individuato ben 425 “bombe di carbonio”, ovvero progetti di estrazione di combustibili fossili capaci di emettere più di una gigatonnellata di CO2
Operazioni petrolifere e del gas in Iraq
Operazioni petrolifere e del gas in Iraq Credit: bgodfroid/enva
Costanza Giannelli
Costanza Giannelli giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
6 settembre 2022 Aggiornato alle 15:30

Abbiamo cambiato le nostre diete e il nostro modo di muoverci. Abbiamo scelto le energie rinnovabili, optato per la bicicletta e per i pannelli solari sul tetto. Abbiamo fatto la differenziata e comprato di seconda mano. Siamo scesə nelle piazze, ci siamo organizzatə, abbiamo cercato di obbligare aziende e governi a fare qualcosa, e a farlo subito. Eppure, tutti i nostri sforzi potrebbero essere vani se non impediamo a quelle che uno studio definisce carbon bombs di esplodere o, meglio, di far esplodere la temperatura del Pianeta.

Da sole, infatti, le emissioni di queste oltre 400 “bombe al carbonio” potrebbero essere più che sufficienti per farci - ampiamente - superare il budget di CO2 che abbiamo a disposizione per raggiungere gli obiettivi stabiliti nell’accordo di Parigi.

La ricerca, pubblicata sulla rivista accademica Energy Policy, ha mappato i più grandi progetti di estrazione di combustibili fossili (gas, petrolio e carbone), individuando i 425 che, complessivamente, emetteranno più di una gigatonnellata di CO2. Lo studio li elenca uno per uno per nome, mostrando in quali Paesi si trovano e calcolando le loro potenziali emissioni. Emissioni che, insieme, superano di due volte il budget globale di carbonio attualmente rimanente per non far innalzare le temperature oltre il limite massimo di 1,5 °C.

La produzione di queste “bombe” rappresenta già una percentuale significativa dell’estrazione globale di combustibili fossili, ma il 40% di questi siti non ha ancora iniziato l’estrazione. Per questo, fermarle il prima possibile non è solo raccomandabile, è necessario. Disinnescarle potrebbe (o, meglio, dovrebbe) diventare un elemento chiave delle politiche di lotta al cambiamento climatico e dell’attivismo verso il raggiungimento degli obiettivi di Parigi.

Finora, però, pochi attori – principalmente della società civile – stanno lavorando per stopparle e anche chi sta agendo si sta concentrando su un numero molto limitato di esse.

Eppure, la situazione è critica, tanto che un’inchiesta del Guardian, che parte dalla ricerca per focalizzarsi sui progetti che riguardano gas e petrolio, parla di vero e proprio «codice rosso». Secondo l’inchiesta, infatti, alcuni elementi mostrano chiaramente quanto l’impatto di questi progetti possa essere catastrofico:

1) i piani di espansione a breve termine dell’industria dei combustibili fossili prevedono l’avvio di progetti che produrranno gas serra equivalenti a un decennio di emissioni di CO2 dalla Cina, il più grande inquinatore del mondo;

2) le 195 bombe al carbonio legate a petrolio e gas si tradurrebbero ciascuno in almeno un miliardo di tonnellate di emissioni di CO2 nel corso della loro vita, in totale equivalente a circa 18 anni delle attuali emissioni globali di CO2. Circa il 60% di questi ha già iniziato a pompare;

3) le maggiori compagnie petrolifere sono sulla buona strada per spendere 103 milioni di dollari al giorno per il resto del decennio sfruttando nuovi giacimenti di petrolio e gas che non possono essere bruciati se il riscaldamento globale deve essere limitato a ben al di sotto dei 2°C;

4) il Medio Oriente e la Russia spesso attirano la maggiore attenzione in relazione alla futura produzione di petrolio e gas, ma Stati Uniti, Canada e Australia sono tra i paesi con i maggiori piani di espansione e il maggior numero di bombe al carbonio. Questi 3 forniscono anche alcuni dei maggiori sussidi al mondo per i combustibili fossili pro capite.

«Le major del petrolio e del gas - spiegano gli autori Damian Carrington Matthew Taylor - stanno pianificando decine di vasti progetti che minacciano di mandare in frantumi l’obiettivo climatico di 1,5°C. Se i governi non agiranno - avvertono - queste aziende continueranno a incassare mentre il mondo brucia».

Il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, in aprile aveva avvertito i leader mondiali: «La nostra dipendenza dai combustibili fossili ci sta uccidendo». In agosto ha rincarato la dose: le compagnie petrolifere, «detto semplicemente, stanno mentendo e i risultati saranno catastrofici. Investire in nuove infrastrutture per i combustibili fossili è una follia morale ed economica. Gli attivisti per il clima sono talvolta descritti come pericolosi radicali. Ma i radicali veramente pericolosi sono i Paesi che stanno aumentando la produzione di combustibili fossili».

Dello stesso avviso sono i ricercatori dello studio sulle carbon bombs. È urgente, dicono, «delineare un’agenda prioritaria in cui le strategie chiave sono evitare l’attivazione di nuove carbon bombs e mettere quelle esistenti in harvest mode», ovvero puntare al calo della produzione di giacimenti di petrolio e gas, uno scenario descritto dalla International Energy Agency (IEA) come «nessun nuovo investimento».

Leggi anche
Energia
di Giacomo Talignani 4 min lettura
Emissioni inquinanti
di Fabrizio Papitto 3 min lettura