Diritti

Amazzonia: addio a “Índio do Buraco”, ultimo indigeno Tanaru

La morte dell’uomo chiamato “della buca” - per la sua capacità di nascondersi in fosse che scavava nel terreno - è una grave perdita per il patrimonio del Brasile. Dove le popolazioni autoctone sono minacciate da allevatori rapaci
Una delle capanne costruite dall'uomo della buca in Amazzonia
Una delle capanne costruite dall'uomo della buca in Amazzonia Credit: Survival International
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
30 agosto 2022 Aggiornato alle 09:00

Era conosciuto come l’Índio do Buraco, “L’uomo indigeno del buco”. Era l’ultimo membro della sua tribù, unico abitante del territorio di Tanaru, nello Stato della Rondonia, all’interno della fitta Amazzonia brasiliana occidentale. Da tempo un funzionario del Funai, la fondazione nazionale indigena del Brasile, lo monitorava a distanza: ha trovato il suo corpo disteso su un’amaca in stato di decomposizione, senza alcun segno di lotta o violenza. Probabilmente aveva circa 60 anni.

Il suo soprannome era dovuto alla sua capacità di nascondersi o ripararsi in fosse che scavava nel terreno, anche grazie all’aiuto di paletti appuntiti. Come racconta Survival International, il movimento mondiale per i diritti dei popoli indigeni, il resto della sua gente era stato massacrato in una serie di attacchi dagli anni ‘70 in poi, ma si sapeva poco della tribù poiché resisteva ai tentativi di contattarla. Nel 2018 l’uomo era stato filmato durante un incontro casuale con una squadra del Funai.

La fondazione sapeva della sua esistenza dal 1990, quando aveva trovato i resti delle capanne che aveva costruito. “Dai suoi campeggi abbandonati sappiamo che pianta mais, manioca, papaia e banane. […] Costruisce case di paglia e paglia e scava una buca all’interno, presumibilmente per proteggersi in caso di attacco”, hanno raccontato i funzionari. Nel 2009 alcuni uomini armati l’hanno attaccato lì dove viveva, nel territorio indigeno di Tanaru, che misura circa 8.000 ettari ed è uno dei sette protetti dagli Ordini di Protezione della terra, che rendono illegale l’ingresso di taglialegna, minatori e altri invasori nelle terre delle tribù.

La regione, infatti, è anche una delle più violente del Brasile, dove si susseguono numerosi i tentativi di invasione da parte degli allevatori circostanti. Nel 2018 Stephen Corry, direttore di Survival International, aveva detto che «le tribù “incontattate(termine che si riferisce a quei popoli che non hanno contatti pacifici con la società dominante, ndr) non sono reliquie primitive di un passato remoto. Vivono nel qui e ora. Sono nostri contemporanei e una parte vitale della diversità dell’umanità, ma affrontano la catastrofe se la loro terra non è protetta». Nel mondo le tribù “incontattate” sono circa 100 e con la morte dell’Índio do Buraco quella dei Tanaru si è appena estinta.

Fiona Watson, direttrice della ricerca e dell’advocacy di Survival, ha detto che «nessun estraneo conosceva il nome di quest’uomo, e nemmeno molto della sua tribù, e con la sua morte il genocidio del suo popolo è completo. Perché questo è stato davvero un genocidio: l’eliminazione deliberata di un intero popolo da parte di allevatori di bestiame affamati di terra e ricchezza». Watson parla della violenza e della crudeltà «inflitte ai popoli indigeni di tutto il mondo in nome della colonizzazione e del profitto. Possiamo solo immaginare quali orrori aveva assistito nella sua vita e la solitudine della sua esistenza dopo che il resto della sua tribù era stato ucciso. […] Se il presidente Bolsonaro e i suoi alleati dell’agroalimentare faranno quello che vogliono, questa storia si ripeterà più e più volte fino a quando tutti i popoli indigeni del Paese saranno spazzati via».

Il movimento indigeno in Brasile e Survival International si impegnano a garantire che ciò non accada. E l’Osservatorio per i diritti umani dei popoli incontattati e recentemente contattati ha chiesto che la riserva di Tanaru sia protetta permanentemente come memoriale del genocidio indigeno.

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