Diritti

Cina: arrivano i sussidi economici per le madri non sposate

La decisione del governo di Xi Ching Ping rappresenta, da un lato, un passo a favore delle donne. Dall’altro, sottolinea come i diritti femminili siano legati a doppio filo solo al concetto di maternità e a politiche patriarcali difficili da sradicare
Credit: Rosalind Chang
Alessia Ferri
Alessia Ferri giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
20 agosto 2022 Aggiornato alle 17:00

Alcuni giorni fa è stata resa nota la decisione del governo cinese di ampliare la platea delle possibili beneficiarie dei sussidi di maternità, includendo anche le donne non sposate.

Ad annunciarlo è stato il vicedirettore dell’Amministrazione nazionale per la sicurezza sanitaria, Liu Juan, specificando che al momento della richiesta di aiuti non sarà più necessario esibire le licenze di matrimonio, come avveniva fino a questo momento.

La Cina fa dunque un balzo progressista a favore delle donne? Non proprio.

Se la notizia fosse esclusivamente quella appena riportata sarebbe meraviglioso ma la verità è che a fare da leva all’ultimo cambio di rotta della politica di Xi Ching Ping non sono stati certo i diritti delle donne, bensì un calo demografico che preoccupa e non poco.

Il Paese asiatico ha infatti registrato nel 2021 il minor numero di nascite dal 1950, con una flessione di 1,4 milioni rispetto al 2020, e il partito comunista che guida la nazione ha preso la notizia con un allarmismo che suona paradossale visto che è stato proprio il governo a imporre per decenni l’esatto contrario ai propri cittadini, ovvero di non fare bambini.

O meglio, di farne solo uno, come sancito dalla legge del figlio unico in vigore dal 1979 al 2013 per contrastare l’allora crescita incontrollata della popolazione.

Una strategia che a distanza di tempo si è ritorta contro Pechino, che oggi si trova a fare i conti con cittadini sempre più vecchi e una natalità al palo, rimasta tale anche a seguito delle decisioni di concedere alle coppie di fare due figli, giunta nel 2013, o tre, nel 2021.

I motivi che dissuadono le donne dal diventare madri in Cina sono noti.

A incidere più di tutti è probabilmente il carico di questa scelta, che come avviene quasi ovunque, ricade interamente sulle spalle delle madri, con i padri pressoché esentati dalla cura della prole.

In un Paese in cui i diritti delle donne sono ridotti all’osso e ogni tentativo di insorgenza di movimenti analoghi al #MeToo è stato stroncato sul nascere, aspettarsi il contrario è utopico e se è vero che emancipazione e voglia di realizzazione personale hanno fatto la loro parte, la solitudine femminile di fronte alla maternità pesa e non poco.

A questa si aggiungono i costi della vita proibitivi per le giovani coppie, soprattutto se residenti in città come Pechino, Shanghai, Guangzhou e Shenzhen, tra affitti alle stelle e prezzi folli per garantire all’ipotetica prole un’istruzione di livello superiore, considerata imprescindibile e che prevede percorsi scolastico lunghi, difficili e a tanti zeri.

Come se non bastasse, la Cina deve anche fare i conti con la costante diminuzione dei matrimoni, scesi di 8 milioni dal 2013 al 2021, secondo un rapporto pubblicato lo scorso marzo da YuWa Population Research.

Pur considerando il matrimonio fondamento unico della famiglia, di fronte a questo ennesimo dato in controtendenza, le autorità hanno dovuto cedere al cambiamento che ha portato la Commissione sanitaria nazionale a permettere anche alle coppie non sposate di accedere ai sussidi e di beneficiare di altre iniziative varate nello stesso momento come migliorie all’assistenza prenatale, alla salute e all’istruzione dei bambini, detrazioni fiscali, prestiti preferenziali per la casa e benefici assicurativi.

Nel giorno del varo della riforma, la notizia che le donne non sposate potessero ricevere aiuti economici è stata il secondo trend topic su Weibo, il social cinese simile a Twitter, innescando scambi di vedute intensi e non poche polemiche. Molti hanno applaudito la mossa, leggendola come un progresso e un passo avanti in favore delle donne.

Altri decisamente meno, anche perché tra i punti individuati dalle autorità di Pechino come peculiari per far risalire la curva demografica c’è anche la lotta all’aborto.

In Cina l’interruzione volontaria di gravidanza è legale ma già lo scorso settembre aveva subito una forte stretta, con la decisione del Consiglio di stato di ridurre gli aborti per scopi non terapeutici.

Al momento non è ancora ben chiaro quali siano i confini di questa terminologia ma è indubbio che con il passare dei mesi scegliere di non portare avanti una gravidanza per le donne cinesi sia diventato più complesso, e che in futuro lo sarà ancora di più visto che nelle nuove linee guida si parla di scoraggiamento all’aborto.

Una virata probabilmente incoraggiata dal fatto che, secondo il Guttmacher Institute, il Paese ha tra i più alti tassi di aborto a livello globale, dimenticando però che anche in questo caso a incidere sia stata la scellerata politica del figlio unico e della preferenza del maschio, che ha spinto negli anni passati ad aborti selettivi in caso una coppia scoprisse di aspettare una femmina.

Il risultato di questa barbarie oggi è un impressionante squilibrio di genere nella popolazione, testimoniato dal censimento del 2021 che ha mostrato la presenza di 35 milioni di uomini in più rispetto alle donne.

La decisione di estendere i sussidi anche alle madri non sposate, quindi, è una notizia positiva solo sulla carta, perché nella realtà la vita di donne e bambini in Cina è ancora molto complessa e difficile da decifrare nella sua interezza.

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