Diritti

Afghanistan: un anno dopo la ritirata degli occidentali

In seguito a 40 anni di guerre, la popolazione è stanca di continue lotte interne e più propensa ad accettare passivamente il nuovo regime, anche se liberticida e repressivo. Che continua a consolidare il suo potere
Credit: EPA/STRINGER
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19 agosto 2022 Aggiornato alle 19:00

A un anno dalla fine della presenza delle truppe occidentali sul suolo afghano, i Talebani continuano a consolidare il loro potere incontrando un’opposizione limitata e priva di forze sufficienti per rimettere in discussione il nuovo status quo. I maggiori leader delle forze ribelli si sono rifugiati mesi fa in Tagikistan, fra cui il figlio del famoso condottiero Ahmad Shah Massoud morto nel 2001 per mano di Al Qaeda, abbandonando il controllo della provincia del Panjshir nel nord dell’Afghanistan.

Secondo Omar Sadr, ricercatore dell’Università di Pittsburgh, la realtà sul terreno è cambiata rispetto al precedente regime talebano dove i guerriglieri di etnia tagika controllavano dei territori: «Questa volta è sostanzialmente diverso. Il Panjshir è occupato. Ora la resistenza è nelle montagne; essi non controllano i villaggi o le strade principali. Questo rende il compito molto più difficile in termini di logistica necessaria al combattimento; impatta sulla qualità della resistenza».

La stessa popolazione afghana, dopo 40 anni di guerre e milioni di vittime, è stanca di continue lotte interne e più propensa ad accettare passivamente il nuovo regime, anche se liberticida e repressivo. Nonostante le promesse fatte un anno fa, i vari potentati del governo talebano hanno imposto restrizioni severe alle donne e alle bambine, soppresso i mass media, ed eseguito esecuzioni sommarie, detenzioni illegali e torture nei confronti degli oppositori. «Gli afghani stanno vivendo un incubo riguardo i diritti umani, vittime sia dei Talebani che dell’apatia internazionale. Il futuro dell’Afghanistan rimarrà cupo a meno che i governi stranieri non si attivino in maniera più energica con le autorità talebane, facendo vigorose pressioni sulla situazione dei diritti umani», ha ammonito Fereshta Abbasi, ricercatrice di Human Rights Watch.

Ma i rapporti fra gli occidentali e le forze talebane sono ai minimi termini, a causa della disastrosa guerra durata 20 anni e le continue diffidenze americane nei confronti degli ambigui legami fra il regime al potere e le forze rimanenti di Al Qaeda.

In mezzo a questo scenario convulso, dove al momento nessuna nazione al mondo ha riconosciuto ufficialmente il nuovo governo in carica, diverse Potenze stanno provando a instaurare dei legami su questioni economiche e geopolitiche, a partire dalle nazioni più prossime come Iran, Pakistan, Qatar, Arabia Saudita, Cina e Russia.

Oltre ai possibili interessi commerciali e diplomatici, vi è il desiderio di stabilizzare l’area soprattutto in funzione anti-Isis, dato che da tempo sono in corso feroci scontri militari fra le forze talebane e i seguaci del Califfato.

Uno dei principali Paesi candidati a estendere la propria influenza sull’Afghanistan è la Cina, attratta dalla possibilità di sfruttare le immense risorse minerarie presenti e il possibile corridoio per il vasto progetto One Belt, One Road.

Un tentativo ambizioso che vuole sfatare l’eterna maledizione dell’Afghanistan, considerato da sempre la “tomba degli imperi”.

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