Ambiente

L’allevamento consuma risorse idriche preziose

È tempo di iniziare a preoccuparci del ruolo di un settore che più di tutti inquina e che troppo spesso però viene lasciato fuori dai riflettori quando si parla di crisi climatica. L’industria della carne
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13 agosto 2022 Aggiornato alle 06:30

L’Italia sta vivendo una delle crisi idriche più forti degli ultimi anni: i più grandi fiumi del nostro paese sono in secca ormai da settimane, hanno fatto il giro del mondo le immagini del fiume Po ridotto a un terreno arido e polveroso.

Quali sono le cause di questa situazione drammatica?

Sicuramente non si può semplificare troppo il discorso, la siccità è uno dei tanti sintomi della crisi climatica che stiamo vivendo, ma l’aspetto importante che Animal Equality ha sempre tenuto a sottolineare è il ruolo di una delle industrie che più di tutte inquina e sfrutta i terreni e le acque, e che troppo spesso però viene lasciata fuori dai riflettori quando si parla di crisi climatica, l’industria della carne.

Come messo in luce dalla Water Footprint Network, un’organizzazione internazionale che coinvolge aziende, associazioni e singoli individui con l’obiettivo di “risolvere le crisi idriche mondiali promuovendo un uso equo e intelligente dell’acqua”, la produzione di carne ha un’impronta idrica molto elevata e consuma molta più acqua rispetto a quella necessaria per la produzione di alimenti vegetali.

Secondo i dati della Water Footprint Network la filiera produttiva che permette a un solo chilo di carne di bovino di arrivare tra gli scaffali del supermercato richiede oltre 15.400 litri di acqua. Per un chilo di mele, invece, ne bastano 822, ancora meno per un chilo di pomodori: circa 214.

Oltre a essere responsabile del 15% delle emissioni totali di gas serra di origine antropica (cioè emessa da attività umane), l’industria della carne concorre dunque in modo attivo all’attuale desertificazione in corso delle riserve idriche italiane, consumando grandi quantità d’acqua.

L’impronta idrica della produzione di carne bovina risulta essere quella più impattante dell’intera industria della carne. Secondo uno studio condotto dall’Università olandese di Twente tra il 1995 e il 2005, infatti, l’impronta idrica globale per la produzione di carne bovina si attestava a circa 800 miliardi di metri cubi l’anno. Un chilo di carne di pecora esige tuttavia 10.400 litri d’acqua, che diventano 6.000 litri per un chilo di carne di maiale, 5.500 per un chilo di carne di capra e 4.300 per un chilo di carne di pollo. Anche il burro richiede molta acqua per essere prodotto: 5.553 litri per un singolo chilo di prodotto.

Un nuovo studio pubblicato sulla rivista Nature sottolinea proprio come una delle soluzioni per ridurre la domanda di energia e l’impatto climatico potrebbe essere proprio quella di ridurre strategicamente la produzione di proteine animali risalendo a monte della filiera produttiva e partendo cioè dalla riduzione dei mangimi.

Nature mette infatti in luce come i foraggi rappresentino più della metà della produzione agricola negli Stati Uniti e nell’Unione europea e più di un terzo a livello globale.

Tuttavia, solo il 12% delle calorie contenute nei mangimi viene trasformato in calorie per l’alimentazione umana, mentre il resto serve a nutrire gli animali allevati.

Ridurre il numero di animali allevati per la produzione alimentare ridurrebbe quindi le emissioni di acqua richieste dal settore mangimistico, oltre a quelle di gas serra.

Il mondo si trova di fronte a una crisi climatica i cui effetti non possiamo più ignorare, proprio la complessità dei problemi attuali richiede ora più che mai scelte ambiziose, innanzitutto da parte delle istituzioni, le cui raccomandazioni per spostare la produzione alimentare sempre più verso le proteine vegetali, troppo spesso non si traducono in azioni concrete per disincentivare il consumo di carne o l’allevamento intensivo.

Dall’altra parte in questo contesto anche le scelte alimentari di ogni singolo individuo fanno la differenza, scegliere di consumare alimenti di origine vegetale non significa solo risparmiare da un’estrema sofferenza agli animali, ma anche avere un impatto positivo sull’ambiente e sul pianeta.

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