Diritti

Cara endometriosi ti scrivo

Non sempre un corpo malato sembra tale agli occhi di chi guarda. C’è chi vive con malattie “invisibili” che spingono alcunə a gridare all’ipocondria. Eppure, questo non è un dolore immaginario
Credit: Foto di Yaroslav Shuraev
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24 agosto 2022 Aggiornato alle 06:30

C’è un’immagine nitida nella mente della gente di come dovrebbe essere un corpo malato. Una sedia a rotelle, una testa condannata a cicliche calvizie, posizioni innaturali, occhiaie e vestiti scialbi. Se c’è qualcosa che nell’immaginario collettivo non è conciliabile con un corpo malato è poi la giovane età. I rossetti rossi, un paio di tacchi, un vestito corto.

“Non sembri malata è la frase che più spesso è stata rivolta a questo corpo, perché il male che lo abita è invisibile a chiunque lo circondi.

Mi ritrovo così, malata ma apparentemente sana, a raccontare la vita di questo corpo costretto a condividere il suo spazio con una cosa chiamata endometriosi. È una cosa che non mi fa dormire e a volte non mi permette di sedermi né di stare in piedi. Non mi permette di divertirmi o di programmare il mio futuro.

A volte, poi, succede che il corpo va e funziona e allora ogni movimento, perfino alzarsi la mattina, appare fluido e naturale. Allora le ore scorrono, ma improvvisamente esplode quel dolore che ogni nervo vorrebbe ignorare.

La lotta è breve perché l’epilogo mi vede sempre inerme su un letto, un divano o un pavimento. E mentre il corpo si aggrappa a qualche farmaco, la mente suggerisce di non tentarla più questa strada della libertà perché dovresti ormai aver capito che contro questo stesso corpo non c’è guerra che può essere vinta.

Pensavo che la parte più brutta sarebbe stata guardare quelle immagini definitive di cellule che non sono al loro posto. Le aderenze. Il fuoco nello stomaco. Eppure, adesso che ho queste figure tra le mani, posso dire con ragionevole certezza che sbagliavo.

Questo corpo ha affrontato prove ben peggiori dell’inconfutabile certezza della sua malattia. Perché il luogo che dal menarca e poi per dodici anni è stato costretto ad abitare è quello in cui ogni giorno gli veniva raccontato che in lui non c’era nulla da cambiare, e quindi piegato in due su qualsiasi superficie, era stato ormai convinto a urlare a sé stesso “il mio dolore è solo immaginario”.

Ecco immagina un corpo, in giro per l’Italia, in giro per il mondo. Anzi, immagina tre milioni di corpi, forse anche di più, in giro sul Pianeta, che apparentemente sani cercano risposte a tutto ciò che gli impedisce di avere una vita normale. E adesso immagina la stessa storia che accomuna questi tre milioni di corpi. La storia è sostanzialmente quella

di chi si addentra in una vegetazione fatta di visite mediche da centinaia di euro, farmaci impotenti, ginnastiche inconcludenti. Yoga, agopuntura e ancora farmaci.

Questi tre milioni di corpi hanno poi ascoltato la stessa canzone per mediamente sette anni, dice la statistica. L’assillante suono che sono stati costretti a subire è quello di medici e mediche che suggeriscono diagnosi di isteria e ipocondria o gravidanze fintamente risolutive anche a corpi di sedici anni. Proprio come nel caso di questo corpo qua che scrive.

Alla fine il tempo passa, e per chi ha trovato una riposta dal nome endometriosi spesso la diagnosi è un sollievo perché è l’unica cosa che impedisce a questi corpi di interrompere tutti i pensieri più assillanti su un dolore immaginario.

Adesso si spiega forse perché tanti occhi piangano di gioia alla notizia di condividere lo spazio con una malattia incurabile. Forse è che ci viene raccontato che il dolore non è reale finché non è legittimato da una firma che non è la nostra. E non importano le notti insonni, le pene, le lacrime. Il dolore, poi, non è l’unico costo di vivere qui dentro.

Perché questo involucro malato, ma apparentemente sano, costa circa 700 euro mensili: ha bisogno di quelle terapie e di quelle viste che non lo guariranno, e di quelle risonanze che gli diranno ancora che tutto è al proprio posto, proprio lì dove non dovrebbe essere. Ma se queste gambe troppo spesso non riescono a spostarmi la mattina, come è possibile permettersi di sopravvivere? Com’è possibile lavorare e pagare il sostegno di cui questo corpo ha bisogno?

La verità, è che l’invisibilità che mi attanaglia non è solo quella di una malattia che non si vede, ma anche quella in cui sono costretta ad abitare. Perché ecco, malattie invisibili significa un sacco di cose. Non significa solo che guardando questo corpo non direste mai che è malato.

Invisibili significa invisibili alla ricerca, che non fa quello che dovrebbe fare, cioè cercare, e non lo fa perché non ci sono fondi stanziati per studiare tutto questo.

Invisibili significa che i medici formati per individuare queste malattie sono davvero pochissimi e quindi impegnatissimi, con liste d’attesa così lunghe da ricordare una gestazione.

Invisibili significa che sono malattie ignorate dal Sistema Sanitario Nazionale. Invisibili significa invisibili mediaticamente perché di questa malattia non si parla, o se ne parla male.

A volte ci parlano di cure, ed è già tutto sbagliato perché una cura ancora non esiste. Invisibili significa senza tutela. Come può un corpo accedere a farmaci e trattamenti esosi e non convenzionati senza poter fisicamente lavorare?

Insomma, questo corpo che riesce a muoversi da solo, vestirsi e sorridere, in realtà è anche lui malato e senza cura eppure tutti quanti continuano a ripetergli che sembra stare bene.

Nelle aule politiche, poi, silenzio. Di tutele, neanche l’ombra. Trovo solo qualcuno che racconta su internet la propria verità, che è uguale alla mia. E allora tutti insieme continuiamo a chiederci: come si esce dallo spazio dell’invisibilità?

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