Diritti

L’accoglienza in Italia dei profughi ucraini funziona?

Per il Viminale, dall’inizio dell’aggressione russa sono oltre 130.000 i profughi di Kiev arrivati in Italia. Ai quali si applica la Direttiva 2001/55 del Consiglio europeo. Capiamo insieme come funziona
Credit: Via cepa.org
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21 settembre 2022 Aggiornato alle 11:30

In questa rovente campagna elettorale, diversi esponenti politici gridano a gran voce la chiusura dei confini, parlando di una ingiustificata invasione. I dati del Viminale dicono infatti tutt’altro: in Italia sono state 58.451 le persone arrivate via mare, mentre si contano 132.129 ucraini dall’inizio dell’aggressione russa.

L’Italia è il Paese Ue con la più grande comunità ucraina, pari a 240.000 persone, e questo spiega il grande afflusso di profughi, a cui viene applicata, nel Bel Paese come in tutto il territorio comunitario, la Direttiva 2001/55 del Consiglio europeo - varata dagli Stati membri all’indomani del conflitto dell’ex Jugoslavia per accogliere in maniera equa l’importante flusso di sfollati -, nonostante negli anni precedenti ci siano state crisi umanitarie della stessa rilevanza.

Un esempio è quella afghana, segnata da una guerra iniziata nel 2001 e aggravatasi nell’agosto dello scorso anno, quando i talebani hanno preso il controllo del Paese.

Lo dimostrano ancora i dati del Ministero dell’Interno: mentre nel 2020 i richiedenti asilo di nazionalità afghana sono stati 645, nel 2021 si è registrato un massiccio aumento con 6445 afghani. A cui, però, si applica il Regolamento di Dublino - la legge europea in vigore dal 2014 che impone l’esame della richiesta di asilo di una persona giunta sul territorio comunitario al primo Paese dell’Unione dove arriva -, in Italia come nel resto d’Europa.

Questo vale per gli afghani più fortunati, per così dire, arrivati negli Stati comunitari attraverso la drammatica rotta balcanica o via mare.

Per molti altri, afghani ma anche siriani, sono state attuate politiche di esternalizzazione che prevedono il blocco e il confino dei rifugiati in Paesi terzi, pagando un prezzo altissimo sia in termini strettamente economici e politici - compreso l’appoggio a regimi autoritari come quello turco - sia di compressione e persino negazione del diritto d’asilo.

Andiamo nel concreto vedendo le differenze.

Grazie alla Direttiva 2001/55 CE, una persona ucraina che fugge dalla guerra e che arriva in Europa non ha infatti l’obbligo di presentare domanda di asilo nel primo Paese di approdo, superando quindi le norme di Dubino: riceve il riconoscimento della protezione temporanea per un anno, rinnovabile per altri due, non si sottopone alle lungaggini burocratiche che ne attestino lo status di rifugiato, non deve fermarsi nel primo paese d’ingresso, ha la possibilità di attraversare liberamente le frontiere interne e sceglie dove insediarsi.

Per gli altri rifugiati continueranno a valere le convenzioni di Dublino, che non prevedono quanto appena elencato, restando confinati per lunghi periodi - fino a 2 anni - nei centri di accoglienza del primo Paese di arrivo fino all’esito delle loro istanze.

Nel dibattito pubblico, ciò ha fatto sì che si tacciassero di razzismo - e di etnocentrismo - le istituzioni europee e che si considerassero le attuali contingenze come un’occasione per ripensare a un modello di accoglienza universale, più umano, che snellisca gli iter burocratici, soprattutto a fronte delle vulnerabilità e delle inefficienze che si registrano nei centri di accoglienza situati sul territorio comunitario.

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