Futuro

6 startup veramente sostenibili

Dal second hand alle api, dall’economia circolare ai lavori socialmente utili. Progetti diversi ma con un elemento comune: l’attenzione alla sostenibilità
Credit: cooperativalice.it 
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5 agosto 2022 Aggiornato alle 11:30

Si fa presto a dire sostenibilità. Ma il punto è che ormai si tratta di una parola ideologizzata che viene usata un po’ a sproposito. Sono veramente sostenibili i progetti, le idee e le startup che vengono sbandierate come tali? Se non abbiamo chiaro il significato della parola e la sua multifattorialità allora non ci sono speranze che una cultura seria, consapevole e informata sulla sostenibilità possa farsi strada tra le varie ideologie e pregiudizi.

Abbiamo allora provato a stilare una lista di 6 startup che, dal nostro punto di vista, sono veramente sostenibili: il criterio utilizzato è che queste affrontano il tema della sostenibilità a 360 gradi con soluzioni win win, che beneficiano tanto l’ambiente e la società quanto i clienti.

Abbiamo scelto servizi che non solo hanno un impatto positivo nel settore in cui operano, ma anche sulle fasce deboli dei consumatori che, come dimostrano vari indici, sono in preoccupante crescita.

Infine abbiamo valutato positivamente quelle idee che non solo si occupano di sostenibilità, ma operano per rendere ancora più sostenibili le tecnologie sostenibili. E non è un problema da poco, visto che nei prossimi anni dovremo affrontare il tema delle batterie delle auto elettriche e dello smaltimento dei sistemi di energia green, come i pannelli fotovoltaici.

Greenchic

Nata nel 2014 (e con il nome di Armadio Verde), Greenchic prende avvio dall’intuizione dei due fondatori, David ed Eleonora, che come neo genitori si sono ben presto accorti che i capi dei bambini durano al massimo 1-2 mesi, dopodiché non sono più utilizzabili.

Questo ha immense conseguenze sia sull’economia di tantissime famiglie che non navigano nell’oro, che sull’ambiente. L’impatto è significativo sia in termini di acqua necessaria per la produzione dei capi, che in termini di smaltimento di rifiuti tessili al momento dell’eliminazione dei capi.

Da qui l’intuizione di David ed Eleonora: un marketplace dove i neo genitori possono vendere prodotti diventati “stretti” dei propri figli e comprarne di più adatti. Nel 2021 Armadio Verde è diventato Greenchic, con l’ambizione di aprire sedi all’estero e di entrare nel mercato più grande della moda uomo e donna, non solo bambino.

Greenchic genera benefici sia a livello di ambiente che relativamente al risparmio delle famiglie. La startup, inoltre, vanta una presenza femminile nei cofondatori (Eleonora Dellera). Attualmente il progetto è in fase di sviluppo internazionale.

3Bee

È una startup che si occupa di apicoltura. Nata nel 2016, 3Bee ha iniziato sviluppando software di supporto per gli apicoltori, per monitorare lo stato dell’alveare e le condizioni di salute delle api. Il modello poi è stato ampliato, consentendo a privati e aziende di adottare alveari secondo una logica simile a quella di altre startup che operano nella sostenibilità ambientale, come Treedom che permette a chiunque di piantare un albero da qualche parte nel mondo.

Oggi 3Bee guarda anche al mondo della CSR (corporate social responsability), proponendo pacchetti di adozione di molti alveari. Tra le caratteristiche di 3Bee degne di menzione, c’è il suo focus su un aspetto cruciale degli ecosistemi. Le api, infatti, sono simbolo del collegamento tra le parti che compongono la biosfera: consentono l’impollinazione dei fiori e degli alberi e producono miele e altre sostanze benefiche anche per l’uomo.

Inoltre, la sue dimensione è tutta local: gli alveari, infatti, si trovano nel territorio italiano. Questo è un tema importante. Oggi la politica dei carbon credit è geograficamente agnostica: le aziende possono generare emissioni in Lombardia e vendere i carbon credit per progetti in Amazzonia. È un modello imperfetto.

Gli ecosistemi non esistono a livello di mondo, ma a livello di singole località. 3Bee va un passo oltre, sostenendo gli apicoltori con strumenti digitali che ne migliorano la produttività. È un modello win win da ogni punto di vista. Inoltre la startup sta iniziando il percorso di internazionalizzazione.

Planet Farms

Planet Farms è il progetto di agricoltura verticale più rivoluzionario d’Italia. Dopo 6 anni di ricerca, Luca Travaglini e Daniele Benatoff, fondatori di Planet Farms, hanno messo a punto un sistema di agricoltura verticale che permette di produrre insalate e altre verdure utilizzando pochissima acqua e terra.

Il cuore della rivoluzione sta nel fatto che Planet Farms è una metafora dell’agricoltura del futuro. Siamo abituati a pensare all’agricoltura come a un tipo di produzione basato sul clima e sulla necessità di ampi spazi dedicati. L’ipotesi alla base della startup è che si possa fare produzione agricola nelle città. Il ridotto fabbisogno di terra e acqua e la struttura verticale della coltivazione potrebbero essere sfruttati all’interno di quartieri residenziali urbani o all’interno di palazzi. Si pensi al giardino verticale a Milano.

Planet Farms è uno sguardo sul futuro, ma è reale e in crescita. Le sue insalate sono distribuite in oltre 300 supermercati e, in questo momento, sta creando nuovi stabilimenti.

Orange Fiber

L’industria degli agrumi produce un’enorme quantità di scarti e quella della moda non gode di una grande reputazione in termini di sensibilità ambientale e sociale. Orange Fiber è il ponte tra i due mondi che promette di ridurre gli scarti e aumentare la reputazione ambientale del mondo del fashion.

Fondata nel 2014 da due imprenditrici siciliane, Adriana Santanocito ed Enrica Arena, Orange Fiber ha brevettato una tecnologia che permette di creare tessuti sostenibili a partire da sottoprodotti della produzione degli agrumi.

Oggi, dopo vari anni di ricerche e sperimentazioni, Orange Fiber collabora con diversi brand della moda. È un progetto che non solo valorizza due ingredienti del made in Italy, food e fashion, ma lo fa producendo tessuti sostenibili che incidono positivamente sulla produzione degli agrumi, restituendo lustro in ambito ecologico al mondo della moda.

In più, Orange Fiber è un esempio di imprenditoria al femminile, con le sue due co-founder sono donne.

Cooperativa Alice

Sempre nella moda opera la Cooperativa Alice, nata diversi anni fa e con una missione sociale fortissima: creare un network di sartorie sociali al cui interno lavorano detenute.

Una percentuale molto importante delle ex detenute non trova una nuova strada una volta finita la detenzione: il tasso di recidiva è altissimo. Le fondatrici di Alice hanno sviluppato un modello sociale che permette a queste donne di svolgere lavori sartoriali all’interno di laboratori interni ed esterni alle carceri convenzionate. Le sartorie sociali ricevono commesse dai brand della moda e realizzano la produzione grazie alle dipendenti, detenute ed ex detenute.

Oggi Alice sta sviluppando un network di sartorie che non si occupa soltanto di fornire una risposta alle detenute alla ricerca di una seconda chance, ma anche alle aziende della moda che hanno bisogno di garantire una filiera produttiva etica e il mondo delle sartorie è purtroppo fatto di nero che non emerge, laboratori in condizioni di disagio lavorativo e insalubrità ambientale.

Cooperativa Alice è un’impresa sociale di colore rosa: il CEO è Caterina Micolano, imprenditrice e manager con grande esperienza nell’imprenditoria sociale. Inoltre, 3 consigliere su 5 sono donne. In questo momento il focus dell’impresa è l’ampliamento della filiera etica di sartorie sociali.

Circularity

Fondata nel 2018 da Camilla Colucci, Circularity affronta il tema dell’economia circolare e lo fa con un modello che ricorda proprio quello degli ecosistemi naturali.

In natura non esiste soltanto la competizione tra le specie, ma anche la cooperazione e il mutualismo. Circularity è un sistema di matching tra aziende basato sul riutilizzo degli scarti di un’azienda da parte di aziende complementari. La startup ha sviluppato un algoritmo di matching che analizza i materiali, i processi produttivi e le complementarietà nel modello di business, stimolando l’incontro tra imprese che possono avere bisogno l’una dell’altra e in cui gli scarti dell’una possono essere utili all’altra.

Ad oggi sono presenti 20.000 aziende sulla piattaforma e l’impresa innovativa, dopo 3 anni di investimenti, quest’anno ha finalmente raggiunto un Ebitda positivo.

Camilla Colucci ha definito Circularity la Airbnb dell’economia circolare. È una metafora interessante che, unita allo spirito ecologista, rendono questa startup un modello win win per tutte le parti. È utile all’ambiente ma, allo stesso tempo, stimola la nascita di opportunità commerciali tra le imprese.

Un esempio per la sostenibilità che oggi fa fatica a trovare l’equilibrio tra profitto e impatto sociale. Il progetto ha raggiunto il breakeven nel 202 e ora è in fase di crescita e potenziamento. Inoltre, la startup è un esempio di imprenditoria al femminile proprio per la giovanissima Camilla Colucci, founder e CEO dell’impresa.

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