Le conseguenze della sentenza della Corte Suprema sull’aborto
A poco più di un mese dalla sentenza della Corte Suprema americana, che ha eliminato il diritto all’aborto a livello federale ribaltando la precedente sentenza Roe v. Wade, si stanno verificando effetti a cascata nei vari Stati americani con restrizioni legislative e criminalizzazioni delle pratiche legate all’interruzione volontaria di gravidanza.
Secondo l’analisi di Elizabeth Nash del “Guttmacher Institute”: “Tutto è in super evoluzione ora. Abbiamo davanti probabilmente circa 15 milioni di donne che vivono in uno Stato dove l’aborto è vietato. Ci aspettiamo che questo numero cresca, perché più Stati stanno cercando di implementare il divieto – e potremmo vedere molto presto fino a metà della nazione senza un accesso alla pratica dell’aborto”.
Al momento attuale 8 Stati hanno emanato una serie di restrizioni che impediscono qualsiasi pratica di interruzione della gravidanza, mentre altri 4 hanno ristretto ancora di più i casi permessi. La maggior parte dei divieti sono concentrati nella fascia degli Stati centrali e meridionali, sotto il controllo del Partito Repubblicano. Ma nei prossimi mesi tanti altri seguiranno la strada tracciata dagli elementi più conservatori e reazionari.
Diversi gruppi anti-aborto, supportati dalle fazioni repubblicane, stanno cercando di criminalizzare ulteriormente la pratica, i medici che la praticano e soprattutto coloro che cercano di fuggire dagli Stati dove sono in vigore i divieti. «Sappiamo che i procuratori stanno cercando di punire penalmente le persone, irrispettosi di ciò che la legge afferma. Per poter resistere a questa criminalizzazione è importante far notare che si tratta di una cosa illegale. Il semplice atto di un procuratore non significa che è la legge», ha dichiarato Farah Diaz-Tello, consulente senior della Ong If/When/How.
La progressiva chiusura delle cliniche abortiste e la moltiplicazione dei divieti stanno intaccando anche le attività negli Stati dove l’aborto è ancora legale, come in Kansas dove le cliniche sono congestionate per l’arrivo di numerose donne dagli Stati confinanti. Temendo che l’offensiva dei repubblicani coinvolga anche i santuari pro-aborto, molti attivisti stanno ora cercando di volgere a proprio favore i referendum che potrebbero modificare le costituzioni dei singoli Stati, annullando i diritti acquisiti.
Allo stesso tempo diverse aziende della Silicon Valley hanno annunciato di voler proteggere i diritti dei propri dipendenti, garantendo benefit economici e viaggi verso gli Stati pro-aborto.
Ma la misure annunciate sono molto limitate, riservate solo a una certa fascia dei dipendenti, con il rischio di un feroce classismo e discriminazione nei confronti dei lavoratori più poveri: «Queste misure non riescono a soddisfare le esigenze delle centinaia di migliaia di lavoratori temporanei, fornitori e lavoratori a contratto di Alphabet, che hanno maggiori probabilità di vivere in Stati con un ristretto accesso all’aborto, di essere lavoratori di colore e persone che possono rimanere incinte con meno possibilità di avere le risorse per trasferirsi, perché Alphabet sistematicamente le sottopaga», ha affermato Parul Koul, ingegnere informatico di Google e direttore esecutivo della Alphabet Workers Union.