Ambiente

Via le stelle marine dai barbecue neozelandesi

Attivisti e maori chiedono alle autorità di vietare la raccolta di creature commestibili come stelle marine e polpi dalle spiagge e dagli scogli: rischiano l’estinzione
Starfish on Motukiekie beach
Starfish on Motukiekie beach Credit: Pikitia
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28 luglio 2022 Aggiornato alle 21:00

Gamberi, anemoni, granchi, stelle marine, polpi: un tempo i fondali rocciosi e le coste della Nuova Zelanda brulicavano di crostacei e creature di acqua salata, ma le cose sono cambiate. È iniziata una raccolta ossessiva per arricchire le proprie grigliate all’aperto, sulla spiaggia, mettendo a rischio l’ecosistema locale.

Le comunità dell’Isola del Nord, in particolare, luogo in cui sorge la città più popolosa del Paese, Auckland, e che ospita vulcani attivi e parchi nazionali, hanno chiesto alle autorità di vietare temporaneamente la pratica lungo i litorali locali, dove numerosi gruppi equipaggiati di «martelli, fili di ferro e cacciaviti» prendono «qualsiasi cosa», spiega Mary Coupe, leader del gruppo Save the Rock Pools Committee.

Il comitato ha condotto una campagna per ottenere maggiori restrizioni sui frutti di mare nella regione di Omaha, a circa 75 km a nord di Auckland. Come racconta il quotidiano britannico Guardian, la tribù Māori degli iwi, termine che indica le aggregazioni più vaste di nativi, ha denunciato che molte persone avrebbero raccolto e grigliato sulla spiaggia secchiate di molluschi e creature marine.

La Nuova Zelanda ha una lunga tradizione di raccolta di frutti di mare a causa della combinazione tra questi episodi, il dragaggio dei fondali e l’inquinamento. E alcune popolazioni, quelle che stanno soffrendo più di altre, hanno chiesto il rahui, una pratica tradizionale che vieta la raccolta di determinati alimenti per consentire alle specie di ricostituirsi.

Il timore, infatti, è che le rive si svuotino di esemplari e questi si estinguano: «Crediamo che se non si interviene con urgenza i nostri mātaitai (molluschi, ndr), i nostri letti di kaimoana (frutti di mare, ndr) non solo saranno gravemente impoveriti, ma arriveranno al punto del collasso», hanno scritto alcuni rappresentanti del Ngāti Pāoa Iwi trust, una delle organizzazioni delle comunità Māori.

La professoressa e scienziata marina Candida Savage ha spiegato al Guardian che il ruolo dei molluschi è cruciale per gli interi ecosistemi costieri: «Sono fondamentali per la salute degli estuari, per l’uomo, ma anche per gli altri organismi che abitano queste insenature».

Un’indagine condotta dall’Istituto nazionale di ricerca sull’acqua e l’atmosfera ha rivelato che in un decennio, fino al 2021, è scomparso il 93% della popolazione di capesante del Golfo di Hauraki, un tratto costiero dell’Isola del Nord che si affaccia sull’Oceano Pacifico.

La tribù locale dell’isola di Waiheke chiede un’azione urgente «affinché le generazioni future non subiscano la catastrofica perdita di pratiche culturali, biodiversità e collasso dell’ecosistema che stiamo affrontando oggi», ha scritto l’organizzazione. Anche la tribù maori dominante dell’isola del Nord, gli Ngāti Hei, ha insistito presentando una petizione per richiedere un rahui.

Alcune istanze sono state accolte, vietando la pratica, ma quella di Mary Coupe, presentata più di un anno fa, è stata respinta. E la raccolta indiscriminata è continuata: Coupe ha raccontato al quotidiano locale Stuff che le persone arrivano sulla spiaggia a centinaia, “per strappare tutta la vita marina dagli scogli, cucinare e mangiare”.

«I singoli fattori di stress (inquinamento, dragaggio e raccolta, ndr) potrebbero non essere così gravi, ma collettivamente, con gruppi di persone che lo fanno ripetutamente, queste specie potrebbero subire un rapido declino», ha avvertito la dottoressa Savage. E, anche quando vengono istituiti dei divieti, «ripristinare queste popolazioni ormai perse o drasticamente diminuite è un processo piuttosto lungo».

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